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ANTOLOGIA TEATRALE, a cura di Antonia Lezza, Annunziata Acanfora, Carmela Lucia, Napoli, Liguori editore, 2015.
Il filo conduttore di ANTOLOGIA TEATRALE, volume edito da Liguori nel 2015, pubblicato con il contributo dei fondi di ricerca del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Salerno, è inevitabilmente e necessariamente la scrittura teatrale. Attraverso un’osservazione che migra volontariamente, riportando testimonianze diverse ed imprescindibili punti di vista, la natura saggistica di questa Antologia raccoglie pensieri, temi, riflessioni, affermazioni, che si inseriscono all’interno dell’ambito di studi legato alla Letteratura Teatrale Italiana.
L’esigenza primaria di questo volume accende, ancora una volta, il dibattito sull’analisi e sulla conservazione del testo drammaturgico, analizzato attraverso ulteriore, elegante e profonda scrittura, ossia quella prodotta da studiosi, da registi, da critici e giornalisti, ma anche da tutti coloro che convivono quotidianamente con il palcoscenico.
L’osservazione, che emerge dalla lettura di ben 23 contributi, nasce inevitabilmente da una caratterizzazione apparentemente microscopica, che si individua nell’approfondimento e nella connessione di diversi temi. I contributi sono suddivisi in quattro sezioni: Questioni di teatro, Scrivere per il teatro, Per un teatro contemporaneo, Lezioni di teatro. Quest’ultima raccoglie alcune delle testimonianze prodotte da tre registi e drammaturghi napoletani, Ruggero Cappuccio, Enzo Moscato e Manlio Santanelli, durante il ciclo di “Incontri con l’autore”, svoltosi negli anni accademici 2000/2001 e 2001/2002, nell’ambito delle attività seminariali della cattedra di Letteratura Teatrale Italiana, organizzate presso l’Università degli Studi di Salerno. Le curatrici del volume, infatti, sono la prof.ssa Antonia Lezza, docente di Letteratura Italiana e Letteratura Teatrale Italiana presso l’Ateneo salernitano, le prof.sse Annunziata Acanfora e Carmela Lucia, dottori di ricerca, docenti presso alcuni Istituti Superiori campani, e importanti presenze all’interno del gruppo di ricerca afferente alla prof.ssa Lezza.
1 - Questioni di teatro
La prima sezione riporta cinque saggi che indagano la scrittura teatrale attraverso il naturale ed indissolubile rapporto con la letteratura. L’apertura del volume, e di questa sezione, è firmata da Antonia Lezza, la quale, dopo una breve introduzione, presenta un saggio in cui la questione, ancora aperta, sul valore e sulla diffusione di una disciplina come la Letteratura Teatrale Italiana, diventa motivo di analisi di una particolare drammaturgia, oggetto di ricerca della studiosa, lungo una linea siculo-napoletana, leit-motiv intrinseco, ma mai volutamente esplicito, dell’intero volume.
Il titolo del contributo firmato da Lezza parla di ipotesi: La letteratura teatrale italiana. Storia e ipotesi di lavoro. Dopo una necessaria descrizione della “storia” della Letteratura Teatrale, pensata e fondata in Italia da Franca Angelini, allieva del grande italianista Natalino Sapegno, Lezza sottolinea le difficoltà dell’affermazione e della diffusione della Letteratura Teatrale, all’interno della riformulazione didattica scolastica e, soprattutto, universitaria. La labile natura del testo teatrale, che oggi, via via, si sta geneticamente modificando, è il fulcro fondamentale dell’operazione testuale di Lezza, che analizza esempi importanti di produzione drammaturgica contemporanea, sollevando, ancora una volta, la questione sulle difficoltà di pubblicazione della nuova produzione testuale teatrale italiana.
Anna Scannapieco firma, invece, un saggio che riporta alla luce le scritte murali dell’Italia ottocentesca, pre e post unitaria, fino al periodo bellico, attraverso un’importante commistione storico-politica che si avvale di una tipologia, originariamente spontanea, di scrittura. Il contributo, dal titolo Viva Verdi! La “scena” delle scritte murali dal Risorgimento alla Resistenza, prende spunto dalla famosa iscrizione che riempie, nel gennaio del 1859, i muri della città di Milano. Emerge, dunque, il profilo politico di Verdi, che Scannapieco documenta attraverso numerosi studi, inserendo l’analisi di alcuni giornali del tempo, fonti imprescindibili di notizie, non solo politiche, ma anche artistiche, riguardanti la messinscena di alcuni spettacoli scaligeri.
Il saggio di Annunziata Acanfora, dal titolo Per una definizione della letteratura teatrale siculo – napoletana. Collaborazioni, riscritture, interferenze, riporta il discorso nuovamente sulla drammaturgia siciliana e sul rapporto che intercorre da secoli tra il teatro isolano e quello napoletano. In particolare, la studiosa sottolinea la costanza di questo rapporto che ha inizio nel Settecento e che, poi, diventa più articolato ed intenso nel corso del Novecento. Acanfora si sofferma a lungo sulla figura di Vincenzo Cammarano, detto Giancola, capostipite della famiglia di artisti siciliani, personaggio che raggiunge l’apice del successo proprio a Napoli. Oltre ai riferimenti al rapporto tra i siciliani Capuana e Verga, con i napoletani Di Giacomo, Serao e Bracco, senza tralasciare l’importante riferimento a Pirandello, Edoardo Scarpetta, Raffaele Viviani ed Eduardo De Filippo, il saggio descrive i connubi, gli influssi, la creazione di adattamenti e di traduzioni, ma anche di particolari “traduzioni/ri-creazioni”, all’interno anche dei lavori firmati da autori del secondo Novecento.
Il regista e docente Giuseppe Rocca riporta l’attenzione sul testo eduardiano Natale in Casa Cupiello, attraverso il contributo dal titolo Tre rimedi contro il freddo. Lettura di Natale in casa Cupiello. Analizzando i personaggi, Rocca evidenzia una particolare struttura del sottotesto, che si articola attraverso il rapporto tra due triangolazioni: posto al centro il personaggio di Concetta, da lei nascono le articolazioni, dialogiche e concettuali, di due triangoli. Il triangolo A, costituito da Luca, Nennillo e Pascalino ed il triangolo B, costituito da Ninuccia, Vittorio e Nicola. Attraverso una specifica lettura del testo, Rocca spiega come Concetta sia il fulcro dell’azione e dello svolgimento dell’intera messinscena. Il famoso testo eduardiano viene, dunque, considerato come un vero e proprio atto evolutivo, ossia un processo di appropriazione di una nuova epoca, rimodellata sull’immagine di quella antica.
La sezione Questioni di teatro si conclude con il saggio di Carmela Lucia, dal titolo Un classico deformato, tra eresia sociale e contaminazione testuale. La riscrittura del classico manzoniano ne “I Promessi Sposi alla prova” di Giovanni Testori. L’attenzione della studiosa si rivolge alla drammaturgia firmata da Giovanni Testori. Questo contributo, infatti, indaga attentamente la lingua dell’autore lombardo, evidenziandone prestiti, neologismi, dialettismi e differenti livelli linguistici. L’osservazione del testo di Testori si sofferma necessariamente anche sull’adattamento scenico operato dai due registi Sandro Lombardi e Federigo Tiezzi, evidenziando il complesso passaggio dalla fonte letteraria alla scena, attraverso diverse fasi che la studiosa analizza attentamente.
2 - Scrivere per il teatro
La seconda sezione del volume contiene le testimonianze di studiosi, registi e operatori del teatro che hanno creato ed analizzato la scrittura per la scena; espresse, dunque, le perplessità, le difficoltà, descritte le esperienze e le caratteristiche di cui ogni autore fa tesoro, attraverso brevi saggi.
Il primo contributo è firmato da Franco Autiero: A proposito della scrittura teatrale e delle sue difficoltà. L’autore parla di «anime vaganti e spiriti furfanti» (p. 147), sottolineando l’atmosfera oltretombale che caratterizza i suoi testi. L’attenzione al rapporto tra vivi e morti, la descrizione di protagoniste femminili, la lingua arcaica e contaminata, le storie paradossali ed irreali, sono tutti elementi che caratterizzano il suo divagante contrasto tra passato e presente.
Paola Daniela Giovanelli, stimata studiosa, descrive la sua esperienza da drammaturga, all’interno del saggio dal titolo Ci mancherebbe altro. Divagazioni comiche femminili. La stesura di Donne derise, donne che ridono, nel 1995, testimonia l’incontro tra la Giovanelli e l’attrice Laura Grossi, ed il percorso di analisi della figura della donna nel teatro del Novecento, soprattutto nelle sue vesti comiche, soffermandosi a lungo anche sulla figura di Franca Valeri.
Il primo dei numerosi contributi firmati da Enzo Moscato è Vocal denudamento or my singing streep-tease, che rivela, sin dal titolo, la natura plurilinguistica del drammaturgo napoletano, il quale si sofferma sul concetto di “voce”. Essa, infatti, è definita rifugio, espressione del proprio io, comunicazione all’altro, ma soprattutto canto che permette di viaggiare, pur rimanendo fermi in un luogo. Le parole, pronunciate e cantate, si fissano sulla carta, diventando testo dalla molteplice natura.
L’esperienza personale emerge anche attraverso le parole di Manlio Santanelli, all’interno del contributo A proposito di poetica teatrale: la scrittura si auto genera, attraverso l’immediatezza e la spontaneità dell’ispirazione testuale. Santanelli parla del bisogno fisiologico che lo spinge necessariamente a scrivere, pur vivendo la reiterata ansia del non essere in grado «di riempire dignitosamente» la pagina bianca (p. 158).
Antonio Tarantino descrive la sua esperienza già dal titolo del suo contributo: I miei testi escono in blocco. Il drammaturgo, attore e pittore, sottolinea l’esperienza del “momento particolare” destinato alla scrittura, fisiologico ed inevitabile, nonostante il dichiarato allontanamento dalle leggi e dalle clausole della lingua e della linguistica. Ecco perché Tarantino preferisce parlare di una stesura di “verbali”, affinché l’esperienza, l’ispirazione e le idee personali possano godere di una nascita e non di una semplice “esibizione”, malattia di cui sono affetti, secondo il drammaturgo, numerosi artisti contemporanei.
3 - Per un teatro contemporaneo
La terza ricca sezione si apre con il contributo firmato dal regista Francesco Saponaro. Il saggio Il tempo incerto. Beckett, Čechov, Eduardo: tre pezzi d’occasione. Per un teatro contemporaneo, rivela, sin dal titolo, le linee guida del discorso, ossia, non solo i riferimenti autoriali cari al regista napoletano, ma soprattutto l’incertezza della contemporaneità artistica e drammaturgica. Il regista e drammaturgo mette in luce, infatti, la duttilità e la natura ibrida di testi ed interpreti contemporanei che frantumano ogni certezza di genere o allontanano ogni caratterizzazione specifica.
Il lungo saggio firmato da Maurizio Zanardi, dal titolo Un teatro popolare e difficile, si articola in quattro parti, più una postilla: Una lingua strana e suprema, Avanguardia e sovversione, Chiarezza appassionata, L’incontro, l’incendio. Protagonisti sono Roland Barthes e l’analisi di alcuni suoi scritti sul teatro, operazione che permette a Zanardi di affrontare il discorso sull’attore, sulla lingua, sull’interpretazione, sul rapporto tra interprete e pubblico, attraverso un lungo viaggio che mette a confronto il teatro borghese ed il rinnovamento operato dall’avanguardia, all’interno del mondo culturale europeo di inizio Novecento.
Imprescindibile, in un contesto di rinnovata attenzione rivolta dagli studiosi e dagli artisti nei confronti del genere del radiodramma, è il contributo di Giorgio Taffon, studioso e critico teatrale attento all’evoluzione della drammaturgia e della messinscena contemporanee. Il suo saggio, Rinascita del radiodramma?, costituisce, infatti, un importante punto di partenza per un nuovo studio sul genere: oltre a citare le più importanti e recenti pubblicazioni sull’argomento, descrive alcuni spettacoli in scena in Italia nell’ultimo decennio, informa sull’esistenza di importanti archivi on line, come www.radiodrammi.it e descrive le caratteristiche della particolare scrittura drammaturgica rivolta all’ascolto radiofonico.
La parola esplosa: parola e scena, titolo del contributo firmato da Elena Bucci, autrice, regista, attrice, premio UBU 2016, è un saggio caratterizzato da una scrittura elegante, che a tratti si eleva ad uno stile poetico, attraverso cui l’artista descrive il suo approccio al testo: un excursus che tocca tutte le tappe della produzione, dalla creazione della parola fino alla messinscena, ulteriore riscrittura della scrittura stessa. In particolare, Bucci pone l’attenzione su alcuni elementi, quali le didascalie e i meccanismi della scena, l’improvvisazione, la creazione ex novo di un testo teatrale partendo da una fonte letteraria, ma anche la descrizione delle fasi e delle difficoltà di adattamento di alcuni allestimenti curati da Le Belle Bandiere.
Stella Casiraghi riporta l’attenzione sulla figura di Giorgio Strehler e sulla sua attività di regista che ha compreso l’imprescindibile importanza del testo. La studiosa, nel suo contributo, dal titolo Scrivere dal palcoscenico. La lezione di Strehler, sottolinea il progetto del regista, il quale, nonostante il valore del testo drammaturgico sembrava disperdersi soprattutto durante gli anni ’70 e ’80, poneva, come punti fondamentali del suo lavoro artistico, la scrittura, testuale e scenica, ma anche lo spettatore ed il rapporto tra attore e pubblico, quest’ultimo inteso nel suo ruolo di co-produttore dello spettacolo.
Tiziana Paladini sceglie, invece, di rivolgere la sua attenzione nei confronti della figura di Massimo Troisi, artista spesso osservato unicamente dal punto di vista scenico o della performance televisiva, ma raramente analizzato nella sua veste autoriale. Grazie al contributo di Paladini, dal titolo La strada di Massimo Troisi, emerge l’attenzione morbosa dell’attore nei confronti della stesura testuale degli sketch: non solo dal punto di vista delle fonti letterarie e drammaturgiche, da cui Troisi prendeva spunto e su cui adattava le sue battute, ma soprattutto dal punto di vista della meticolosa scelta delle parole, delle frasi e delle espressioni. Anche le incertezze tipiche del dialogato di Troisi, erano fissate sul testo con grande attenzione, così come ogni modifica e variazione di cui egli rendeva partecipi tutti gli attori.
La terza sezione del volume si conclude con il contributo di Stefania Stefanelli, studiosa di lingua e di linguistica italiana, che propone un importante studio sulla storia della lingua teatrale, dal Cinquecento in poi. L’attenzione di Stefanelli, nel saggio dal titolo Una lingua per il teatro italiano, verte all’analisi della questione della lingua, che approda, tra il Settecento e l’Ottocento, alle figure di Goldoni, Alfieri e Manzoni. La studiosa cita il rapporto tra il teatro giacobino e la volontà, durante il governo napoleonico, di fondare un nuovo statuto per il teatro. Emerge, soprattutto, l’importanza dei trattati sulla declamazione, testi che, in epoca post unitaria, si soffermano sulla natura dell’accento nella dizione teatrale, raccogliendo le perplessità e le battaglie dei linguisti ottocenteschi.
4 - Lezioni di teatro
L’ultima sezione del volume è caratterizzata da coppie di scritti firmati da tre importanti drammaturghi napoletani contemporanei: Ruggiero Cappuccio, Enzo Moscato e Manlio Santanelli.
Cappuccio racconta, in La morte come scrittura del desiderio, il suo rapporto viscerale e mistico con le opere dell’autore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Le letture adolescenziali del regista napoletano approdano al rapporto ossimorico tra morte e desiderio, ispirazione proveniente dalle parole di Tomasi di Lampedusa, per trasformarsi, poi, in Desideri mortali, messinscena in cui Cappuccio mescola musica e parola, attraverso rielaborazioni e frammenti tratti da Il Gattopardo, I Racconti, Letteratura inglese e francese. Anche nel contributo dal titolo I suoni dei sensi, Cappuccio critica apertamente l’utilizzo di una particolare tipologia di lingua italiana sulla scena contemporanea: l’aridità sembra manifestarsi non solo nel linguaggio ma anche nella scenografia, elementi entrambi influenzati negativamente dalla televisione, mezzo che riduce la lingua teatrale in un ibrido senza poesia e la scena in ambientazioni da fiction.
Enzo Moscato firma con il titolo Le mie parole, le pagine attraverso cui descrive personalmente la propria scrittura: il riferimento ad Antonin Artaud, la mancanza di didascalie nei suoi testi drammaturgici, la scelta di una lingua che nasce da sfumature vernacolari per poi ascendere al ruolo di lingua internazionale. Moscato ribadisce che il teatro, oggi, è sottoposto a tensioni fortissime poiché si richiede costantemente che il testo nasconda dei significati: egli, invece, sottolinea il valore di astrazione del teatro, considerato come momento di assoluta e positiva perdita, rispetto al reale. Il drammaturgo napoletano parla, inoltre, di nostos, recupera, cioè, il tema del viaggio che è insito naturalmente nella scrittura, attraverso un percorso descritto all’interno del saggio Nostos. La nostalgia del ritorno nel teatro/scrittura. Oltre ai riferimenti letterari, Moscato si sofferma sul concetto di viaggio che caratterizza la scrittura teatrale, sin dalla nascita del copione alla messa in scena, fino agli adattamenti o alle riscritture, ai ripensamenti e alle correzioni.
Il volume si conclude con due saggi-testimonianza, firmati dal drammaturgo Manlio Santanelli, il quale ripercorre alcune riflessioni sul concetto di “traduzione”, inteso non solo come operazione di trasporto di significato da una lingua all’altra, ma anche da un testo alla scena. All’interno del saggio “Tradurre” l’ironia (Conversazione di Manlio Santanelli anche con se stesso), Santanelli si sofferma anche sull’attività di un ipotetico traduttore straniero che si cimenta nella traduzione di un testo in napoletano e che deve, necessariamente, tener conto della gestualità che accompagna il parlato partenopeo. L’autore introduce il lettore anche all’interno di un discorso personale, ossia le difficoltà intraprese dai traduttori stranieri di fronte ai suoi testi, ma soprattutto si chiede se è possibile tradurre l’ironia che presenta, inevitabilmente livelli ed intensità differenti in ogni lingua.
Il drammaturgo osserva attentamente le tendenze della drammaturgica contemporanea che si spinge inesorabilmente verso gli adattamenti o le riprese di opere di autori classici; Santanelli ricorda, con ironia, i tempi in cui doveva sottoporre i suoi testi agli attori, i quali si ostinavano nella ricerca spasmodica del sottotesto, elemento alla moda che creava perplessità all’autore e per il quale egli si affannava alla ricerca del “camuffamento” della rivelazione finale. Anche Santanelli, come afferma nell’ultimo saggio di questo ricco volume, Memorie del sottotesto, si è cimentato con i classici, ricordando il suo Ulisse-Saverio, protagonista di un lontano testo giovanile dal titolo Ti pare questa l’ora di tornare dalla guerra?
Emanuela Ferrauto