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La critica - Recensioni libri

Recensioni / Libri


Manlio Santanelli, Bianco, pane e frutta, Caserta, L'Aperia, 2016


Una raccolta di racconti insoliti, ironici e meditati: questo è Bianco, pane e frutta. Pubblicati sul settimanale casertano Il Caffè e confluiti in un unico volume edito dalla Società Editrice L'Aperia, con la prefazione di Rosaria Carotenuto, i racconti sono stati ordinati in quattro parti o categorie: "Ricordando", "Teatrando", "Fingendo", "Divertendo", le quali, più che alludere alle tematiche trattate, sembrano fare riferimento all'ispirazione e allo stile che li animano.
Manlio Santanelli, autore di testi teatrali di rilievo, quali Uscita di Emergenza, Regina Madre e Il Baciamano, trasferisce nella scrittura narrativa sapienza e consapevolezza rappresentative. Il teatro, pur occupando nella seconda parte della raccolta una posizione di particolare rilievo ("Teatrando" è appunto il nome di tale sezione), resta il protagonista indiscusso di ogni singola pagina, come è visibile nella scelta dell'ambientazione, nella descrizione dei personaggi, nella dinamica del racconto.
«Quel giorno avevo accompagnato un attore amico, mai stato a Napoli prima di allora, ma curioso di constatare di persona la veridicità di quanto gli avevano raccontato su Spaccanapoli. Procedevamo uno accanto all'altro, anche perché io lo avevo messo in allarme sulla possibilità di furti di destrezza. Quando a un tratto un giovane dall'aria vissuta ‒ a Napoli si invecchia molto presto ‒ mi accosta e a voce bassa ma insistente mi fa: "Giovane, quello lì è un attore, è un attore?", e lo indica platealmente, senza essere punto sfiorato dall'inopportunità del suo gesto. Quando io gli rispondo di sì, lui mi incalza con un'ulteriore domanda: "E come è intitolato?". Dall'episodio appena riportato si è legittimati a dedurre che in certi ambienti popolari l'identità di coloro che appaiono in TV risiede non tanto nei nomi personali quanto nei titoli di testa o di coda» (p. 66).
Il palcoscenico naturale sul quale ambientare un susseguirsi di scene vivide e vivaci è la città di Napoli, città in cui, secondo l'autore, l'assurdo «si è espresso in tutte le sue potenzialità [...]» in quanto «nasce da un modo di adeguarsi della cittadinanza alle condizioni paradossali entro le quali è costretta a vivere» (p.49). I racconti, dunque, si propongono di "mettere in scena" l'assurdo quale categoria teatrale e umana. Assurdo, ma al tempo stesso originale, è, per esempio, lo stratagemma di un padre che ricorre alle lastre delle radiografie per ricoprire le finestre danneggiate dallo scoppio di una nave durante la guerra. La soluzione, definita «fantastica» dall'autore, rivelerà un esito ai limiti del paradosso: «Il mattino seguente, infatti, ci svegliammo in un vero e proprio ossario: tibie, peroni, cranii, casse toraciche, omeri decoravano il pavimento delle stanze che erano state sottoposte al trattamento paterno» (p. 39).
Anche i personaggi dei racconti, al pari dell'ambientazione, sono fortemente caratterizzati, anche quando si tratta di uomini comuni come Ciccio Carbonara, barbiere di famiglia che lavora a domicilio ed è amante della lirica, oppure del nonno dell'autore che, con scarso fiuto per gli affari, declina una proposta di lavoro molto vantaggiosa, oppure ancora di Giuseppe Volpe, portato al successo teatrale grazie a un incidente sulla scena. Compare persino San Gennaro, in un racconto scritto interamente in napoletano che descrive la giornata tipica del santo patrono. Vi sono poi le clarisse di Santa Chiara intente a preparare con un metodo particolare le sfogliatelle ricce, due autisti di Capri che rivelano il proprio amore con un bacio appassionato tra le strette curve dell'isola, due giovani donne che si scambiano chiacchiere colorite in un autobus. La rievocazione leggera, che tende spesso al paradosso, si fa tenerezza nel raccontare di una madre che, rallentando la velocità dei suoi passi con l'avanzare dell'età, porta al figlio appena sveglio un caffè tiepido e non più bollente, o diventa intimità amicale, in una vicenda avventurosa sussurrata dietro le quinte da Peppino De Filippo.
Nella terza parte compare, come una patina velata sulle vicende narrate e a mo' di ironia della sorte, il tema della morte, che colpisce i protagonisti anche quando sono essi stessi che scelgono di mettere fine alla propria vita. È forse qui che l'assurdo raggiunge la sua massima espressione, negli avviluppamenti del pensiero e del sentire umano, come accade al signor Coppola, che tenta il suicidio ma viene ucciso inconsapevolmente dalla nevrosi della moglie, oppure a un uomo disposto a sacrificare se stesso pur di far riconciliare due amici fraterni.
La scrittura di Santanelli procede per immagini e metafore («Prima di tutto il tempo e il luogo che fanno da fondale alla vicenda» p. 41), sperimenta nelle prove in dialetto e in versi, è lineare e ricercata, dotta e fruibile al tempo stesso. La sua esperienza come autore, prima in RAI e poi in teatro, dona profondità alla descrizione di una varietà di scene e tipi umani. Lo scrittore si palesa continuamente al lettore intervenendo con riflessioni filosofiche, di carattere morale o metaletterarie: «Quel che seguì richiede una particolare attenzione alle parole da usare, onde essere all'altezza degli eventi che seguirono. Ritengo, quindi, necessario iniziare quest'ultimo segmento narrativo descrivendo l'ansia di tutta la famiglia [...]» (p. 39).
Scanzonata e acuta, Bianco, pane e frutta è una raccolta che diletta e che fa riflettere sull'assoluta imprevedibilità della vita umana.


Federica Caiazzo