unisa ITA  unisa ENG


La critica - Recensioni libri

Recensioni / Libri

 

FORTUNATO CALVINO, Teatro, Napoli, Guida editori, 2007.

 

Il volume è un'antologia di testi teatrali di Fortunato Calvino, filmaker, regista teatrale e drammaturgo, uno degli esponenti di spicco del teatro napoletano contemporaneo. I sei testi raccolti nel volume sono: Cravattari, Adelaide, Malacarne, Donne di potere, Cristiana famiglia, Lontana la città. L'antologia è preceduta dagli scritti di Pier Luigi Lo Presti (Commissario Regionale Fondazione Banco di Napoli per l'Assistenza all'Infanzia), Geppino Fiorenza (Consulente della Commissione parlamentare antimafia, Referente regionale di Libera, per la Campania) e dall'introduzione di Stefano de Stefano (critico teatrale del "Corriere del Mezzogiorno").
Apre il volume Cravattari, che è certamente il testo più significativo e famoso di Calvino, in cui si affronta il complesso e sempre attuale tema dell'usura. La narrazione degli eventi è costruita su due livelli in un continuo flashback tra il passato e il presente, così - come si legge nella didascalia d'apertura - Da una parte il presente che rappresenta il vuoto, la sconfitta, ma anche la possibilità di ricostruire, di ricominciare. Dall'altra il ricordo, con tutto il peso insostenibile della sofferenza. Tale andamento narrativo si rivela efficace per evidenziare lo status psicologico delle vittime che passano dalla disperazione (passato) alla condizione di vinti (presente). Sul piano dei personaggi c'è una puntuale caratterizzazione delle vittime e degli sfruttatori (gli strozzini, i cravattari) rispettivamente simboleggiati dalla Napoli sotterranea e dalla Napoli del "sopra" (quella dei Quartieri). Cravattari è stato pluripremiato, ricevendo riconoscimenti prestigiosi (Premio Giuseppe Fava 1995; Premio Girulà come Migliore Autore 1996; Premio Speciale Giancarlo Siani 1997), proprio per l'attento scavo nel sociale compiuto dall'autore.
In Adelaide Calvino indaga un universo antropologico specchio della realtà malavitosa, popolata da giovani privi di scrupolo che hanno una insaziabile sete di denaro e di potere, proprio come uno dei personaggi della pièce, Genny, che ambisce a diventare il boss del Quartiere ("voglio addiventà uno ca conta, voglio fa' tanti 'e chille solde ca m'aggià accattà meza città!"). La Napoli che fa da sfondo è la città dilaniata dalle faide camorristiche; in questo contesto Adelaide, una ex-prostituta non più giovane, si guadagna da vivere accogliendo nella sua casa malavitosi feriti in sparatorie, offrendo loro un rifugio e le cure necessarie a pagamento.
Calvino in Malacarne, attraverso una prosa forte, cruda e violenta, racconta la malavita al femminile. Le protagoniste del dramma in due atti sono le donne di camorra, personaggi crudeli e violenti, artefici di atti spietati che contrastano, indiscutibilmente, con la femminilità e la dolcezza di cui dovrebbero essere dotate. In funzione quasi ossimorica la femminilità è incarnata da un travestito, Gilda, così descritto da Sofia e Brigida: "Mo 'a parte tutto Gilda come travestito ha fatto epoca! Dinto 'o quartiere pe' portamento e bellezza era 'o meglio! […] Quanno l'aggio canusciuto era ancora nu guagliòne. Me ricordo ca nun usave 'e ciglie finte pecchè 'e soie erano lunghissime!". Con la sua prorompente femminilità Gilda riesce a persuadere Tata, un travestito marginato da tutti e tormentato dalla sua doppia identità sessuale ("Io ccà nun so né carne né pesce"), a compiere il cambiamento di sesso, a realizzare quella "mutazione che l'avrebbe trasformato da scarrafòne in farfalla". Ma Tata non riesce a diventare farfalla, perché sarà vittima della follia omicida delle tre donne-boss (Carmela, Brigida e Sofia). Il titolo Malacarne (carne marcia), quindi, ha una doppia valenza simbolica in quanto allude sia alla cattiveria e alla spietatezza delle donne di camorra che alla mutazione dei corpi dei travestiti alterati dagli estrogeni e dal silicone.
Donne di potere è centrato su un tema ancora una volta di grande attualità: la corruzione della malapolitica, simboleggiata dal personaggio di Claudio, che l'ex-moglie Costanza descrive come "il politico corrotto! Oggi abbandonato da tutti […] Si è fidato troppo degli amici di partito che alle prime difficoltà l'hanno scaricato! Poi la prigione, la vergogna." Mentre Assuntina controbatte: "Marìteto è stato sempe nu pesce piccerillo, a nuje ce 'nteressano 'e gruosse! […] Costà, tuo marito si è fatto solo due giorni di galera, ha pagato e se n'è tornato a casa, vide ca 'e sòrde servono? […] mariteto è nato carogna! […] Ha sempe penzato 'o Dio suojo!".
Cristiana famiglia racconta lo scontro tra due fratelli, Giuseppe e Alfredo, che interpretano diversamente la vita; l'uno è un operaio legato a valori di umanità ed onestà, l'altro, arrogante e violento, mira a diventare un boss malavitoso. Colpisce nel testo la presenza ossessiva del televisore che sottolinea l'incomunicabilità tra i membri della famiglia: "Quando mi sveglio accendo il primo, vado in cucina e accendo l'altro e così non mi perdo, passando da una camera all'altra quello che sta dicendo il tipo o la tipa".
L'ultimo testo dell'antologia, Lontana la città, contiene un messaggio di speranza di liberazione dagli oppressori: Rosaria gestisce una lavanderia in un quartiere popolare di Napoli, tra i suoi clienti c'è il boss Don Ciro che si è innamorato di lei e le rivela la sua passione in maniera sempre più insistente, fino a tentare di violentarla in presenza del marito, costretto su una sedia a rotelle da un'ischemia. Don Ciro si vendica del rifiuto di Rosaria e della sua "sfrontatezza" nella richiesta di saldare il conto, facendola massacrare di botte e distruggendole il negozio. Dinanzi a tanta violenza, Rosaria reagisce decidendo di denunciare alla polizia una realtà della quale non vuole più essere complice con il muro di silenzio e di omertà.
Quello di Calvino è un teatro fortemente sociale e civile, che vuole essere non solo un atto di denuncia sociale, ma anche una lucida indagine dell'universo camorristico con le sue regole ed i suoi rituali. Il filo rosso che attraversa i testi di Calvino - come osserva Stefano de Stefano - è il "raccontare senza pregiudizi, quasi dall'interno, ma con lucida consapevolezza, le storie e i volti dell'altra Napoli, la malaNapoli, la seconda delle due città di giacobina memoria: una illuminata, volta al bene pubblico, l'altra animalesca e diabolicamente dedita al solo arricchimento personale e illecito". Nella produzione teatrale di Calvino la Città è posta in primo piano, i quartieri popolari napoletani costituiscono il centro del suo interesse; si tratta di una drammaturgia più vicina al preverismo di Francesco Mastriani, alle sue accuratissime descrizioni della Napoli popolare e dei suoi "bassi", che non al teatro di Viviani e di Eduardo o alla cosiddetta drammaturgia post-eduardiana. I personaggi di Calvino non sono i guappi e le prostitute di Viviani né i borghesi di Eduardo, si tratta piuttosto di usurai spietati e di camorristi assassini. È un universo drammaturgico dominato dalla cattiveria, dal degrado, dall'infamia e dal malaffare del nostro tempo.
La scrittura teatrale di Calvino è connotata da un tessuto linguistico fitto di modi di dire e proverbi popolari (vò a forza pruvà 'e cunfiette; nun ha voluto fa' carte; tu sì nu guanto 'o cuntrario; te sì fatta antiche e sì ghiùte acito; pure 'a signora in nero fa a chi figlie e a chi figliastre; nun è bello ciò che bello, ma è bello ciò che piace; dovevo stare con due piedi in una scarpa; perdo Filippo e 'o panaro, etc.). Si tratta di un registro linguistico popolare, perfettamente consono alla tipologia dei personaggi teatrali di Calvino; infatti, il drammaturgo utilizza un linguaggio ricco di metafore e di similitudini, derivati principalmente dall'ambiente e dal modo di vivere dei personaggi che attraverso le immagini rivelano il loro universo culturale. Pertanto, nella prosa di Calvino si registra la presenza di metafore come "Songo 'a regina d' 'o cafè", "un dolore alla bocca dello stomaco" insieme con le frequenti similitudini (pe lloro vuje site come na specie 'e cannolicchie, addò se succhia tutto e sé lascia 'a scorza; ci stanno tutti addosso come avvoltoi; la nostra vita è come un foglio di carta che il vento ogni tanto ribalta; m'astregne 'e cervelle comme na tenaglia; la vita è come il mare, lo vedi calmo poi d'improvviso un temporale, la burrasca).
È interessante notare come per tanti personaggi Calvino compia la sostituzione sistematica del nome con il loro soprannome, che rimanda ad un uso tipicamente popolare (specificamente napoletano e siciliano), basti pensare ai nomi degli usurai presenti in Cravattari ('o Cinese, 'o Naso 'e Cane, 'a Francese, Palummella) ed a quelli delle amiche delle donne-boss in Malacarne ('a Chiattona, 'a Tofa, 'a Spagnola, Cerasella, Cozzeca nera, 'a Pachita, 'a Cafona, Milina 'a longa, 'a Lazzarella, 'a Giapponesa, 'a Nera).
La lingua teatrale di Calvino è aspra, forte, cruda; è il napoletano dei Quartieri Spagnoli che, in alcuni testi come Cravattari e Donne di potere, si mescola con l'italiano medio borghese per accentuare, anche da un punto di vista linguistico, la diversa provenienza sociale dei personaggi.
Il Teatro di Fortunato Calvino è pubblicato dalla casa editrice Guida, da sempre attivissima nell'edizione di testi teatrali, a tal proposito è doveroso ricordare la pubblicazione del teatro di Raffaele Viviani (a cura di Antonia Lezza e Pasquale Scialò) e di testi di Ruccello, Moscato e Santanelli. D'altronde, dello stesso Calvino precedentemente Guida aveva pubblicato Cravattari e Maddalena.


Nunzia Acanfora