Recensioni/Libri
ANGELA GUIDOTTI, Forme del tragico nel teatro italiano del Novecento. Modelli della tradizione e riscritture originali, Pisa, Edizioni ETS, 2016
Un viaggio attraverso opere scelte del ventesimo secolo è quello che ci propone Angela Guidotti, docente di Letteratura italiana e Letteratura teatrale presso l'Università di Pisa, in un saggio lucido e puntuale sulla presenza o, per meglio dire, sulla persistenza della tragedia nel teatro italiano del Novecento. Lungi dall'essersi dissolto con l'età romantica, il genere tragico rivive nelle esperienze letterarie di autori che, apertamente, dichiarano il proprio debito nei confronti di un modello classico per rileggerlo e interpretarlo alla luce di una sensibilità contemporanea. Un confronto aperto, dunque, nel quale gli elementi che componevano il dramma antico vengono manipolati assumendo forme diverse e spesso originali.
La materia è organizzata in sette capitoli - se si escludono la Premessa e le Conclusioni - e procede in ordine cronologico senza trascurare il dibattito teorico, filosofico e più specificamente drammaturgico, italiano ma anche europeo, all'interno del quale le opere sono state prodotte.
Gabriele d'Annunzio dischiude il ventesimo secolo pubblicando Il fuoco, un romanzo contenente in nuce interessanti riflessioni sull'essenza del tragico. Scrive infatti la Guidotti a proposito del ruolo dei personaggi: "Stelio Effrena e Foscarina-Perdita rappresentano non solo se stessi in quanto individui ma anche l'Artista e la Musa, stretti nel vincolo dionisiaco della creazione dell'uno per ispirazione dell'altra; poi, una volta raggiunto il traguardo artistico, il distacco arriva a segnare il passaggio all'apollineo [...]". Chiara è la fonte a cui tale osservazione fa riferimento: La nascita della tragedia dallo spirito della musica, saggio che ha gettato una luce nuova sull'origine della tragedia e sulla sua evoluzione in termini di passaggio dal dionisiaco all'apollineo, disancorando l'esperienza del teatro ateniese dal proprio contesto e restituendola alla posterità nella sua essenza. Intreccio e caratteri, elementi fondamentali del teatro classico secondo Aristotele, vengono inseriti da d'Annunzio in un dramma tutto borghese. Il medesimo autore compie un'operazione analoga nella tragedia La città morta, dove la natura del tragico consiste nel recupero di una dimensione temporale assoluta: il tempo esterno viene annullato nella circolarità della vicenda rappresentata e il tempo interno assurge a simbolo delle emozioni dei protagonisti.
Ne La Gioconda e in Diana e la Tuda d'Annunzio e Pirandello si confrontano con la medesima tematica: il rapporto tra Arte e Vita, rappresentato con toni tragici ed evocativi dal primo, e con l'ironia del gioco delle parti dal secondo.
Gli autori del Novecento, tuttavia, non guardano soltanto al passato più remoto. Anche Shakespeare è per loro un modello a cui ispirarsi, come mostrano le esperienze di Riccardo Bacchelli e Stefano Pirandello. Riccardo Bacchelli riscrive l'Amleto in chiave romantica rendendo il protagonista tragicamente consapevole del proprio destino. "Io rido, se penso che una volta volli vivere, poi volli fare il supremo esule, colui che se ne va coi suoi irreparabili segreti contro il creato e contro l'uomo, taciuti. Rido dei miei eccelsi pretesti. A me è riuscito solo disubbidire a mio padre" dirà l'Amleto novecentesco quasi sul finire dell'opera. Stefano Pirandello, nel faticoso tentativo di emanciparsi dalla figura paterna, si confronta con un altro personaggio shakespeariano: Coriolano, e trasforma "una tragedia ‘pubblica', di potere, in un dramma privato" fin dalla scelta del titolo L'innocenza di Coriolano.
In una rassegna letteraria così costituita sorprende la presenza di un'opera estranea al genere teatrale. L'inserimento del capitolo dedicato a Dialoghi con Leucò è spiegato dalla studiosa con l'importanza della riflessione poetica e filosofica in esso contenuta. Ma c'è di più. Scegliendo la forma dialogica Cesare Pavese dona centralità alla parola che si fa azione. Gli studi etnologici, le traduzioni di Omero, la questione del mito e del suo significato confluiscono in questo testo al fine di evidenziare il concetto di tragico non come legato a un genere letterario ma come categoria dell'esistenza umana.
Con Beatrice Cenci e Il dio Kurt anche Alberto Moravia si misura con la tragedia. Nel suo teatro di parola, che prende le distanze dalle Avanguardie di inizio secolo, Moravia, ricollegandosi alla poetica di Pirandello, rinuncia a qualunque prospettiva catartica e alla dimensione assoluta del mito esprimendo l'impossibilità per l'autore moderno di andare oltre la storia individuale. Da qui deriva la scelta di una lingua prosastica, estranea alla solennità del verso.
Al contrario, dall'unione di verso e prosa, di ragione e di passioni, di mito e di autobiografia nascono le tragedie di Pierpaolo Pasolini, ultimo a comporre la panoramica degli autori italiani del Novecento. Rispetto al teatro Pasolini compie una scelta chiara: "Il teatro mi consente di fare nello stesso tempo poesia e romanzo. Poesia perché come sai scrivo le mie tragedie in versi; romanzo perché racconto una storia".
Il filo conduttore dell'intero saggio di Angela Guidotti, dichiarato dall'autrice nell'Introduzione, è pertanto "l'attenzione rivolta al tragico come scelta assoluta" e alle differenti forme in cui il tragico si declina in ciascuna delle opere prese in esame.
Con ricchezza di fonti e di riferimenti bibliografici, la studiosa guida il lettore autore dopo autore, illustrando in quali citazioni, quali trame, quale linguaggio, quale personaggio il tragico abbia trovato una nuova dimora. Le conclusioni a cui giunge sono presentate come provvisorie nella misura in cui il teatro non si esaurisce con le opere di Pasolini ma attraversa il secolo tutto fino ad arrivare ai nostri giorni -i nomi di Carmelo Bene ed Emma Dante, ricordati nelle ultime pagine, risuonano quasi come la promessa di una successiva indagine - con la potenza di un genere che racchiude in sé la "categoria di interpretazione e, quindi, di giudizio, sull'individuo e sulla Storia".
Federica Caiazzo