Recensioni / Libri
Manlio Santanelli, La serva del Principe, prefazione di Antonia Lezza, Napoli, Kairós Edizioni, 2016
«È difficile incontrare un'opera più ambigua del Principe di Niccolò Machiavelli. Come si spiega, infatti, che un repubblicano di idee e di militanza scriva un manuale ad uso dei potenti diretto ad ottenere e conservare il Potere?» (p.13). La serva del Principe, commedia in due tempi, scritta da Manlio Santanelli, con la prefazione di Antonia Lezza, trae ispirazione da questo interrogativo, attorno a esso sviluppa trama e personaggi e ricompone la sua unità interpretativa.
Nella lettera dedicatoria a Lorenzo de' Medici Machiavelli stesso chiariva la motivazione che lo aveva spinto a comporre il De Principatibus: «Desiderando io, adunque, offerirmi alla Vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato, intra la mia suppellettile, cosa quale io abbi più cara o tanto esistimi quanto la cognizione delle azioni degli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienzia delle cose moderne e una continua lezione delle antique». Machiavelli, dunque, durante il suo soggiorno forzato all'Albergaccio, si proponeva di mettere al servizio dei Medici la propria conoscenza dell'arte politica, ottenuta attraverso l'esperienza diretta come cancelliere della Repubblica di Firenze.
Esperienza repubblicana al servizio di una Signoria: operazione machiavellica!
Tale dicotomia, che nel trattato Il principe diventa metodo strutturale del ragionamento e dell'argomentazione, sembra essere riprodotta ne La serva del Principe da due distinti personaggi: Berta, serva devota di Machiavelli, espressione della saggezza popolare, e l'Uomo Nero, cavaliere sconosciuto, immagine oscura del potere, che suona a tarda sera alla porta di Messer Niccolò per commissionargli, a fronte di una cospicua ricompensa, «un'opera che dimostri, esempi nel pugno, come non v'è Stato saldo se non v'è un uomo in sulla vetta [...]».
«Un tiranno, se ho ben inteso.»
«Un Principe. Suona meglio.» (p. 33)
Il dialogo tra Machiavelli e l'Uomo Nero dà avvio all'azione teatrale, che ruota attorno ai dubbi creativi e ai turbamenti emotivi che colgono l'autore durante la stesura del trattato. Tali momenti sono scanditi con puntuale discrezione da Berta la quale, come la nutrice della tragedia antica, aiuterà il nostro autore a superare i numerosi blocchi del processo di scrittura.
«Ma la sai lunga in qualsiasi questione. Come tutti quelli che provengono dal vulgo, d'altro canto. Parla! Anche la regina abbisognò della sua vicina.» (p. 44)
Riconosciuta nel suo prezioso ruolo di consigliera, la serva del Principe acquista, pagina dopo pagina, una profondità sempre maggiore fino a dominare la scena, diventandone la protagonista indiscussa con la sua straordinaria umanità. Non è un caso, dunque, che Santanelli sceglie di affidare proprio a lei l'esegesi ultima del trattato attraverso le seguenti parole: «Voi, è vero, avete scolpito in marmo di Carrara la figura del Tiranno, imprestando a chi ne vuol divenire la sustanzia un messale completo d'ogni avvertenza. Ma, nel contempo, temprando il suo scettro ne avete inaridito l'alloro che intende portare in bella mostra in sul capo, e avete fornito al popolo che ne fosse ammagato quanto di sangue e di lacrime è grondaia codello scettro. Seguitate per tale via e avrete dato pastura alle capre ed acqua ai cavoli» (p. 92). Come ha osservato Antonia Lezza nella Prefazione al testo, grazie al personaggio di Berta «Il Principe è spiegato partendo dal basso, dalle osservazioni o meglio dalle intuizioni di una donna del popolo» (p. 7). Prima uditrice e interprete delle parole che Machiavelli declama a voce alta, Berta è altresì sua confidente, amica e madre, e quando Machiavelli, stanco e agitato, le chiede di raccontargli una novella per favorire il sopraggiungere del sonno, Berta gli racconterà, grazie a una raffinata operazione metaletteraria, la storia di monna Lucrezia e messer Nicia, in omaggio alla Mandragola.
La presenza di un quarto personaggio sulla scena, Vitellozzo, corteggiatore di Berta, genera siparietti ironici nei quali la realtà esterna e le abitudini del tempo irrompono nella stanza di Machiavelli, tutta dominata da concentrazione intellettuale e compositiva. E permette al tempo stesso di far evolvere una dinamica amorosa fino ad allora soltanto intuita e immaginata, quella tra Berta e lo stesso Machiavelli. La dichiarazione della serva giunge appassionata e delicata e segna il momento di massima tensione emotiva, celebrando la donna quale anima complessa e coraggiosa. Il rifiuto del padrone delude e conforta per la sua sincerità. A Machiavelli non resta che ritornare alla sua opera, sostenuto dall'infaticabile e amorevole serva.
A impreziosire i dialoghi tra i personaggi interviene una lingua letteraria, mimetica, musicale, che cede a una varietà interna di registri, pur conservando vivacità e ricercatezza, sopratutto a livello lessicale. Accanto all'ironia, quale «caratteristica principale e costante della scrittura» di Santanelli, «la cifra stilistica della Serva de Principe è riconducibile, soprattutto, alla lingua, una lingua per così dire inventata, originale e funzionale, che denota un'attenzione e un impegno da parte dell'autore veramente singolari» scrive Antonia Lezza nella Prefazione (p. 10).
Manlio Santanelli si confronta con un grande classico con studio e consapevolezza, piegando la materia nota alle nuove esigenze della messinscena, tradendo la ricostruzione filologica meticolosa, per scardinare le contraddizioni del machiavellismo e creare una figura femminile di grande forza e humanitas.
Federica Caiazzo