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La critica - Recensioni libri

Recensioni / Libri

 

DARIO FO, Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin, Parma, Ugo Guanda Editore, 2007.

 

Dario Fo, una delle figure più note e, al tempo stesso, più discusse della cultura teatrale del nostro secolo, si racconta e ci racconta, in questo libro-consuntivo, le sequenze appassionanti della sua storia personale, dall'infanzia e dalle sue origini contadine agli anni più recenti, dell'impegno politico e civile, disegnando un ritratto, che diventa sicuramente una testimonianza unica e originalissima, anche per la storia del nostro Paese.
L'intervista, guidata da Giuseppina Manin, inizia con i ricordi della lectio recitata dal candidato al Nobel, con la descrizione dei momenti che precedono (il viaggio in aereo) e seguono (le diverse reazioni dei politici e degli intellettuali) la consegna del Premio, nel '97: come scrive l'intervistatrice: "mescolando due linguaggi inauditi su quegli scranni - quelli della Svenska Akademien - il fumetto e il grammelot - Fo ha dato prova di un vero e proprio - miracolo di intelligenza e comicità, un fantasioso pastiche gestuale, un canovaccio onomatopeico di immediata comprensione anche per l'illustre platea straniera" (p.14).
Quando inizia poi il racconto, al centro della storia si stagliano le descrizioni delle due donne più importanti della sua vita, la madre e la moglie, l'attrice Franca Rame, con cui ha condiviso le tappe della sua carriera teatrale e politica.
Della giovinezza Fo rievoca le suggestioni e le fantasie delle storie dei fabulatori delle sue valli, da cui attingerà indicazioni tanto preziose per animare la sua tecnica affabulatoria così originale, assimilandone le capacità mimiche e le intonazioni vocaliche dalla cifra ormai inconfondibile. In seguito, descrive le prime esperienze a teatro, con le amicizie degli artisti che furono i protagonisti della scena teatrale di quegli anni, come Strehler, Squarzina, Missiroli, Trionfi, inventori dei famosi Stabili, "nati - come scrive Fo - per capovolgere il concetto di palcoscenico tradizionale, fucine di eventi sorprendenti, provocatori, geniali" (p. 38). Si sofferma a raccontare inoltre gli anni dell'apprendistato presso l'Accademia di Brera, i contatti con De Chirico, Savinio, gli interessi di studio soprattutto per la pittura del corpo, l'amore per i due grandi pittori Leonardo e Caravaggio, a cui dedicherà le sue memorabili lezioni-spettacolo. Parla della sua religiosità, di come lo studio dei vangeli apocrifi lo abbia portato a riscrivere in chiave parodica le storie della tradizione evangelica, culminate poi nei racconti teatrali della Resurrezione di Lazzaro e del piccolo Jesus.
I ricordi personali, rievocati sul filo della memoria, si intrecciano in queste pagine con suggestioni che toccano più da vicino l'arte teatrale vera e propria, dal momento che Fo dà al lettore una fitta rete di riferimenti utili per costruire una vera e propria teoria del dramma, perché illustra i "principi" (p. 31), i processi di costruzione, da cui si sviluppa il suo lavoro, descrivendo il modus operandi della sua arte, che nasce dall'esigenza di non considerare mai una commedia come "conclusa", ma sempre aperta ai fatti della cronaca e dunque continuamente situazionabile, adattabile a differenti contesti di pubblico e a diverse circostanze di tempo e luogo (dalla Cina, agli Stati Uniti d'America). Da qui l'estrema duttilità dei suoi testi teatrali, che, se sapientemente manipolati e adattati ai diversi luoghi, a differenti circostanze, anche con un pubblico lontano dal punto di vista culturale e linguistico, possono acquistare la leggibilità necessaria al messaggio teatrale, soprattutto se veicolato attraverso il filtro della mimica potentissima del suo corpo e la comprensibilità universale della sua lingua originalissima.
Sicuramente questo continuo inseguimento della cronaca ha costruito quella che potremmo definire la traducibilità costante delle sue opere che, con le continue modificazioni imposte dai fatti di cronaca hanno contribuito a formare nel pubblico una nuova presa di coscienza sociale sui problemi della storia più recente o sui fatti politici, degli anni di piombo. Pensiamo per esempio alle inchieste, soprattutto a partire dalla metà degli anni '70, sul caso Pinelli (Morte accidentale di un anarchico), ai testi ispirati alle lotte di fabbrica (Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?); alle stragi di stato (Pum, pum! Chi è? La polizia), agli espropri proletari (Non si paga, non si paga!), fino alla pesante satira del regime democristiano (Fanfani rapito), tragico preludio a quello che di lì a poco sarebbe diventato il "caso Moro". Si deve aggiungere peraltro che concepire il teatro come un'arma, resa ancor più tagliente dalla forza della sua ironia corrosiva (si veda a questo proposito il paragrafo sul "riso", pp. 79-82) non soltanto ha avuto conseguenze sul piano sociale, ma ha anche influenzato intere generazioni di attori e registi, come Marco Baliani, Laura Curino, Ascanio Celestini, Beppe Grillo. Del teatro politico, di "controinformazione legato alla cronaca e alla critica sociale" (p. 99) Dario Fo è diventato così l'archetipo, inaugurando un teatro definito giustamente "civile", che ha avuto il suo primo atto di nascita proprio con la codificazione dell'affabulazione narrativa. Quell'affabulazione che Fo ha imparato assimilando la lezione dei giullari, le tecniche dei narratori medievali, le melodie dei canti popolari, la cultura sommersa (p. 84) di Ruzzante e della Commedia dell'Arte, che gli ha permesso di dar vita al testo-cardine della sua drammaturgia, Mistero Buffo, una giullarata popolare rappresentata per la prima volta nell'ottobre del '69, che ha fatto conoscere al grande pubblico il grammelot, la funambolica lingua, nata dalla contaminazione pluridialettale, dall'espressionismo grottesco delle sue intonazioni vocaliche e gestuali, diventata ormai di grande risonanza, soprattutto per la potenza della sua mimica di universale comprensione.

Carmela Lucia