Recensioni / Libri
MARCO BALIANI, Pinocchio nero. Diario di un viaggio teatrale, Milano, Rizzoli, 2005.
Sicuramente quello di Marco Baliani, noto autore, attore e regista teatrale da sempre attento alla ricerca sull'arte della narrazione orale, altresì impegnato nel campo del "teatro ragazzi", si configura come un teatro civile, perché tutte le sue scelte tematiche ed espressive, come lui stesso testimonia, presuppongono "una dimensione etica, nel senso proprio di ethos di avere o cercare una dimora, un luogo a cui o da cui parlare e che motivi il perché del proprio parlare" (M. Baliani, L'incontro con l'altro, in "Etinforma", a. II, n. 1, dicembre 1996, p. 8).
Ebbene, la scelta della dimora da cui parlare, in Pinocchio nero, questo singolare e davvero unico diario di viaggio, è fatta sì della stessa materia delle situazioni estreme (carceri, ospedali psichiatrici) in cui Baliani è da tempo abituato a muoversi e ad esercitare le pratiche del suo lavoro di regista teatrale, ma è abitata, questa volta, da un'umanità estranea a noi, lontana dal ricco mondo occidentale sul piano sociale, antropologico e linguistico: un'umanità perciò difficile, tanto più perché marginale, quella di ragazzi delle baraccopoli, che non hanno statuto d'esistenza, senza identità e dignità sociale, i cosiddetti chokora, recuperati dai sobborghi di Nairobi, nel cuore dell'Africa nera.
A mano a mano che il lavoro di sostegno psicologico e il training va avanti, il senso di estraneità e di non appartenenza dei primi incontri si trasforma (nel corso di questo che è anche un viaggio mentale, sentimentale) in un incontro e scambio reciproco, tra il regista e i venti ragazzi, sottoposti a un severo apprendistato, una vera e propria leva teatrale; tutto ciò in una serie di incontri diversi e vari workshops (dall'agosto del 2002 al dicembre del 2004), di cui Baliani descrive, attraverso una commossa testimonianza, l'esperienza condivisa insieme a un gruppo di responsabili dell'Amref, un'associazione laica che opera nei paesi africani, con progetti di sviluppo e recupero sociale.
Il diario di viaggio documenta dunque tutto il lavoro dell'attore e dei suoi collaboratori (scenografi, coreografi, interpreti), con la descrizione delle varie fasi di sviluppo del disegno drammaturgico e di un progetto, che si propone anche finalità pedagogiche. Il focus del racconto procede infatti attraverso i difficili livelli dell'addestramento dei ragazzi, impegnati in un difficile lavoro di consolidamento dell'auto-efficacia e del senso di appartenenza al gruppo, per recuperare la loro identità perduta, proprio come avviene, in fondo, in quella che è la grande metafora della trasformazione (da burattino a bambino) di Pinocchio.
I temi, gli snodi narrativi del grande classico di Collodi appaiono dunque solo un punto di partenza, perché (considerata soprattutto la distanza culturale che separa le due culture, quella degli educatori e quella degli allievi) molti soggetti, come anche intere sequenze, devono necessariamente essere riadattati e quasi riscritti insieme ai giovani attori, che devono imparare, nel difficile processo di costruzione del testo teatrale, non soltanto a recitare, ma a sapersi muovere sulla scena, per esempio con i trampoli, a rispettare i tempi teatrali, o anche a usare oggetti che essi stessi imparano a costruire in un laboratorio di scena, costruito da esperti del settore apposta per loro.
Il diario termina infine con l'emozionante descrizione del debutto a Roma e a Palermo nel 2004, con la brillante performance dei giovani attori di Nairobi. Tutte queste pagine toccano veramente il cuore del lettore, perché la testimonianza di Baliani diventa qui segno tangibile di un teatro civile, un teatro necessario, in grado di superare la volatilità dell'evento scenico, a vantaggio di un impegno concreto per il prossimo.
Carmela Lucia