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La critica - Recensioni libri

Recensioni / Libri

 

PATRIZIA BOLOGNA, Tuttestorie. Radici, pensieri e opere di Ascanio Celestini, Introduzione di Edoardo Sanguineti, Milano, Ubulibri, 2007.

 

Tuttestorie. Radici, pensieri e opere di Ascanio Celestini è un testo anfibio, di genere multiforme e vario, costruito per «rimettere insieme i pezzi» (p.12) della sua opera (secondo un’espressione dello stesso attore), in cui sono analizzati il percorso formativo, le “radici” appunto, il caleidoscopico mondo creativo, i “pensieri” e le sue “opere”.
Espressione del tragico moderno, il teatro epico di Celestini affronta, attraverso le forme e le modalità performative di una “nuova letteratura orale”, temi di grande rilevanza politica e sociale, come la malattia mentale, la memoria storica della grande guerra, il lavoro di fabbrica e il disagio generazionale, che si manifesta nella “lotta di classe” degli operai.
I monologhi prendono forma attraverso le testimonianze reali, filtrate e montate insieme nel racconto, che appare però costruito nel senso che Calvino gli diede come “catalogo di destini”, tendenzialmente improntato a quel realismo magico di carattere fiabesco, riconosciuto come una cifra inconfondibile anche della scrittura drammaturgica di Celestini.
Questo volume, scritto da Patrizia Bologna, nasce dopo quattro anni di ricerche e di osservazione sul lavoro di studio, scrittura e recitazione di Celestini e dei suoi collaboratori. Costruito con un’attenta raccolta di dati e informazioni provenienti da interviste, prove di spettacoli, conferenze e laboratori itineranti, il libro può diventare uno strumento indispensabile per analizzare il percorso formativo, la metodologia di lavoro e i nuclei genetici del teatro del performer romano.
Diviso in quattro capitoli, Tuttestorie inizia con una lunga intervista, che ricostruisce cronologicamente le tappe della sua formazione e della produzione delle sue opere: Celestini ricorda gli anni degli studi universitari, la prima stesura delle fiabe raccolte in Cicoria; fa poi riferimento all’esperienza laboratoriale con Mohamed Driss, un narratore tunisino allievo di Lecoq, come pure ai progetti con Mario Martone e Alessandro Portelli, autore del libro L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (Roma, Donzelli, 1999), che raccoglie i documenti orali e le fonti alla base della riscrittura del monologo Radio Clandestina. Ancora, nell’intervista riportata nel volume, Celestini parla dei lati operativi del suo teatro, in particolare del montaggio delle storie, delle interviste fatte ai testimoni dei racconti, delle sceneggiature, dei libri su cui si è formato, da Collodi a Rodari, fino a Beckett, e dell’esperienza come direttore artistico del Festival “Bella Ciao”.
Nel secondo capitolo, intitolato Il teatro come narrazione, Patrizia Bologna presenta una puntuale disamina sulla metodologia di lavoro di Celestini, indagandone i temi – l’antropologia, la politica, le tematiche del tragico contemporaneo, come per esempio la Seconda Guerra Mondiale – soprattutto verificando il metodo analitico della testimonianza orale da cui Celestini parte per costruire le sue storie. Analizza, poi, la lingua dei monologhi, che appare connotata da uno stile formulaico, fitto di ripetizioni, secondo una modalità espressiva tipica dei racconti orali e soprattutto dalla velocità del ductus della parola recitata, che simula i fenomeni di “allegro” del parlato spontaneo, che appare costruito peraltro con una morfosintassi e un lessico tendenti a uniformarsi alle forme dell’italiano popolare, non privo di punte espressive dal forte tenore gergale. L’autrice passa quindi a verificare altri aspetti della recitazione, in cui assume un rilievo importante la partitura mimica del narratore e l’accompagnamento musicale, che, per la sua valenza semiotica (si pensi, per esempio, alla presenza dei musicisti), occupa un ruolo fondamentale nella performatività del monologo. Viene valutato poi, come un fattore altrettanto importante nella costruzione del testo, anche l’elemento della testimonianza reale, con la registrazione delle interviste agli operai per esempio, o anche della “voce” di un autore caro a Celestini come Pasolini, che recita un frammento della poesia La terra del lavoro da Le ceneri di Gramsci, provocando, come nel teatro epico di Brecht, quel voluto senso di “straniamento”, per la plurivocità innervata nella tensione affabulatoria monovoca del racconto.
Nel terzo capitolo è presente un excursus su tutti gli spettacoli di Celestini, dal primo racconto, Baccalà, passando per Radio Clandestina e Fabbrica, fino a La pecora nera. È interessante notare qui che i nuclei genetici di un testo come Fabbrica per esempio, appaiono come divaricati tra le fonti orali, ovvero le testimonianze dirette dei lavoratori raccolte nella “ricerca sul campo”, operata con gli stessi strumenti metodologici della ricerca antropologica e, come nel caso già citato di Portelli per Radio Clandestina, la testimonianza letteraria. Per Fabbrica in particolare, Celestini cita due fonti letterarie: il romanzo La vita agra di Luciano Bianciardi (1962) e il testo sempre di Bianciardi, scritto con la collaborazione di Carlo Cassola, I minatori della Maremma (1956), dove un ruolo di primo piano è rivestito sempre dal grande potere evocativo della parola, che prende corpo dalla «memoria, dallo sguardo individuale e non l’evento storico» in sé (p. 157).
Il progetto di documentazione sul mondo minerario e contadino da cui prende spunto il testo, che parte da un’inchiesta socio-antropologica sulla fabbrica, si fonda sull’analisi delle fonti orali, sull’ascolto diretto delle testimonianze degli operai della Piaggio per esempio, per poi concretizzarsi in un racconto in forma epistolare, così come si presenta per l’appunto il testo di Fabbrica nella sua forma definitiva, in cui un anonimo operaio scrive alla madre una lettera al giorno per cinquant’anni. Ancora, il monologo appare diviso in tre parti, che corrispondono come le ere geologiche all’“età dei giganti”, ovvero la primitiva fase in cui gli operai entrano per la prima volta in contatto con le macchine; l’“età dell’aristocrazia operaia”, al tempo del Fascismo con gli operai-ragazzini indispensabili alla produzione bellica (p. 173); per finire poi con le morti bianche, causate da avvelenamento e caduta, con l’“età degli storpi”, in cui la metamorfosi del corpo e dell’anima trasforma gli operai fino a fagocitarne la stessa identità.
Con Scemo di guerra, il testo prende spunto invece dall’epica contemporanea e soprattutto dal recupero memoriale della “voce” del padre, qui rappresentato come un suo doppio e come una voce che, con il suo specifico “lessico famigliare”, promana “dal profondo”, essendo riportata nel monologo senza filtri semiotici (p. 224), in un’inedita, perché nuova, identificazione tra arte e vita.
Ancora nel testo La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico, il rapporto tra individuo e istituzione (dopo Fabbrica, con l’istituzione lavorativa e Radio Clandestina, con l’istituzione nazista) Celestini affronta un argomento molto drammatico parlando soprattutto: dell’istituzione manicomiale, un tragico luogo di contenzione e di tortura con i suoi carnefici e i malati di mente, e dei “poveri matti”, vittime di regolamentazioni assurde e atroci cure, come per esempio le shockterapie, abolite poi con la legge Basaglia. Come per Fabbrica, il volume illustra il “metodo” di reperimento delle fonti che stanno alla base della costruzione del testo teatrale, fondato non sullo studio bibliografico, ma sulla ricerca sul campo, sulla memoria e l’ascolto attivo di fonti orali, raccolte peraltro durante una fase di studio durata tre anni (con la visita delle strutture, e le interviste di medici, infermieri, ex direttori e pazienti in più parti d’Italia).
L’ultimo capitolo, il quarto, presenta il lavoro di Celestini nei vari laboratori, descrivendo l’attività di un laboratorio organizzato dall’Università di Bologna e dal DAMS dell’Università di Roma Tre; ma anche l’esperienza formativa di alcuni gruppi di studio (a Scandicci, Bologna e Roma), dove lo scambio tra docente e discente è diventato spesso un fertile campo di studio, durante la fase di preparazione e allestimento di molti spettacoli di Celestini, come per esempio La pecora nera.
Sicuramente, per questi e altri aspetti, il valore documentario di questo volume è indiscutibile. Per l’approfondimento critico, la ricchezza dei documenti raccolti e l’approccio non teorico ai testi, Tuttestorie diventa uno strumento indispensabile per quanti vogliano conoscere in maniera approfondita e critica il teatro di Celestini.

Carmela Lucia