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La critica - Le interviste

Intervista a Silvio Orlando

a cura di Vincenzo Albano

Intervista rilasciata da Silvio Orlando, domenica 22 gennaio 2006, in occasione della messa in scena dello spettacolo Questi fantasmi, presso il Teatro Verdi di Salerno.

 

Silvio Orlando

Come mai secondo Lei Eduardo è un autore che "funziona" sempre ?
Perché sia da un punto di vista formale che contenutistico i suoi spettacoli si sono sempre plasmati sulla società in cui viveva. Ciò il pubblico lo ha sempre capito ed apprezzato ed ancora oggi sente Eduardo un po' come un vecchio nonno che ci può dire o suggerire delle cose con autorevolezza, ma senza arroganza. Un'altra cosa fondamentale è che è il "nostro teatro". A differenza di altri autori classici che possiamo allestire più o meno bene, Eduardo scende tra la gente e questa ne diviene quasi posseduta. La sensazione che ho avuto interpretando sia Questi fantasmi che Eduardo al Kursaal è quella di una grande festa popolare.
Nello specifico, cosa rende Questi fantasmi ancora attuale?
Il suo parlare delle paure eterne dell'uomo e del rapporto che egli ha con i bisogni, i desideri ed i falsi desideri. L'uomo ne è diventato schiavo, ma dovrebbe essere il contrario. Bisogna vivere per desiderare e non desiderare per vivere meglio.
Cosa ha lasciato della scrittura originale e cosa ha ritenuto opportuno modificare insieme al regista Armando Pugliese?
Il testo è assolutamente integrale. Indubbiamente il fascino del teatro sta anche nel come lo fai e ciò ti permette di dimenticare eventuali ascendenze, dimenticare lo stesso Eduardo. All'inizio riconosco che è stato un "fantasma", soprattutto in posti come Napoli, ma poi è diventato un falso problema. Abbiamo capito che la nostra messinscena aveva un'autonomia fortissima rispetto al "ricordo", del resto sempre rinverdito dall'opera di documentazione storico-televisiva che Eduardo fece. A proposito di essa, penso che egli si sia fatto un "brutto servizio", nel senso che il teatro deve ad un certo punto svanire, deve lasciare solo la carta scritta per le generazioni successive. Se le parole sono strettamente legate ad un volto subentra una difficoltà in più. Inoltre, quello che noi vediamo non è il frutto di telecamere piazzate in teatro, ma in uno studio televisivo e quindi tutto è condizionato da questo passaggio, anche la recitazione. Aggiungo che l'elemento in più su cui noi abbiamo spinto e che probabilmente sessant'anni fa non c'era è l'ambiguità di Pasquale Lojacono. Nella prima messinscena tutto poteva apparire come un semplice puro di cuore che veniva soggiogato da questa sorta di fascinazione. In realtà credo fosse più consapevole di quello che traspare da una prima lettura un po' superficiale.
Dunque è possibile un "teatro di Eduardo senza Eduardo"?
Credo di sì, oggi più che mai. Nell'ultimo periodo della sua vita Eduardo era diventato ingombrante per il suo teatro, significava troppo rispetto a quello che diceva. Era una sorta di santone che schiacciava i contenuti delle sue parole. Non lo si metteva in discussione, non lo si analizzava. Adesso, a vent'anni dalla morte, è possibile riconquistare una certa verginità di questi testi, specialmente per noi che siamo la prima generazione che vi "mette mano".
Parlando di un altro Maestro del Novecento che è Viviani, noi del sito ci accorgiamo che il suo teatro fatica ad essere divulgato e rappresentato. Come se lo spiega?
Il problema credo sia nel linguaggio. Viviani è legato sia ad una forma poetica così aspra e plebea da divenire un handicap fuori Napoli che ad un mondo che forse non esiste più. Eduardo, al contrario, ha seguito l'evoluzione ed i cambiamenti della società, li ha capiti ed assecondati.
Napoli "città teatrale", ma con fatica. È così?
Napoli è attualmente la città con il maggior numero di produzioni teatrali ed è un dato di fatto molto importante. Tuttavia molte di queste fanno riferimento ad una tradizione di derivazione farsesca che sopravvive a se stessa, che si è avvitata su se stessa in una forma di barocchismo inconcludente, lezioso. Come dappertutto poi c'è un'ondata devastante di un certo tipo di televisione che non aiuta. Il teatro a Napoli è però una esigenza più forte che altrove. Si possono avere momenti di appannamento e di eclisse, ma poi riemerge sempre e non è un caso. È una necessità forse, un ragionamento ironico e paradossale sulla realtà che ti consente di non impazzire.
Se pensiamo alle traduzioni dei testi di Eduardo, si può parlare di un teatro napoletano slegato dalla lingua napoletana ed esportato per i suoi contenuti?
Questo bisogna sempre verificarlo sul campo. Sinceramente in questo momento storico non so quanto sia tradotto ed allestito. L'operazione parallela al Mercadante di Turturro mi sembra una scommessa, una cosa un po' eccentrica, curiosa.
Con Eduardo un'altra scommessa vinta: dopo due interpretazioni "eduardiane" sta già pensando alla terza?
A me piacerebbe allestire Le voci di dentro. Comunque è anche il momento che io faccia delle cose non legate a Napoli.
Di nuovo insieme a Tonino Taiuti, dopo più di vent'anni...
Le nostre strade si sono divise, ma sentivo che c'era questo appuntamento col destino. Aspettavo il momento ed il personaggio giusto da proporgli. Tonino è un attore di grande importanza e personalità.
Come si divide tra cinema e teatro?
Negli ultimi tempi ho fatto meno cinema e più teatro, ma è un falso problema cercare una preminenza dell'uno o dell'altro. Un attore nel suo percorso non può non passare e ripassare attraverso il teatro. Il teatro è il luogo dove cresci, dove riesci a porti quelle domande essenziali per il tuo lavoro, cosa che a cinema non puoi fare. Il cinema è il luogo delle risposte, non delle domande. A teatro ci si svezza e ci si rinasce, anche fisicamente. Questa esperienza è bella anche perché sono riuscito a fare un personaggio che fosse molto fisico, al di là delle parole. Questa forza qui mi aiuterà a fare cinema anche molto meglio.