Intervista a Toni Servillo
a cura di Isabella Selmin
Video-intervista rilasciata da Toni Servillo in occasione della messa in scena dello spettacolo Sabato Domenica e Lunedì, presso il Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Toni Servillo.
a cura di Isabella Selmin
Video-intervista rilasciata da Toni Servillo in occasione della messa in scena dello spettacolo Sabato Domenica e Lunedì, presso il Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Toni Servillo.
In vista del suo successo con la regia e la rappresentazione dell'opera di Eduardo, che cosa può dirci sull'annoso dibattito circa il futuro del teatro di Eduardo senza Eduardo?
Sarebbe presuntuoso da parte mia dire che siamo riusciti a dimostrare il contrario, non sono il primo non sarò l'ultimo, penso che questo sia accaduto perché io credo in Eduardo autore; trovo che nella sua produzione ci siano almeno sei o sette capolavori: Napoli Milionaria, Questi Fantasmi, Filumena Maturano, Non ti pago, che è una commedia considerata forse minore, ma secondo me, straordinaria; il nostro atteggiamento è stato quello di avvicinarci a lui, senza questo conformismo, questo pensiero, che senza di lui non si sarebbe potuto fare. È vero che Eduardo sia il più grande attore di questo secolo, però riuscire a lavorare contemporaneamente sulla lezione generale che lui dà sul teatro, sulla vita, sul suo pensiero… nei suoi testi c'è tanta riflessione sulla vita, sull'amore, sulla vecchiaia…. Prendiamo Sabato, Domenica e Lunedì dove apparentemente tutto sembra basarsi sulla banalità di tre giornate qualsiasi, tra le tante cose, c'è una riflessione non effimera, non poggiata sul palcoscenico in maniera perentoria, ma con quella dimensione che fa del teatro di Eduardo un teatro che non pretende, un teatro dell'accadere, di far accadere le cose sotto gli occhi del pubblico e nel momento in cui l'attore le propone…
Per esempio c'è una riflessione meravigliosa sulla fatica di continuare a tenere vivo un amore, un rapporto tra due persone, gli ostacoli che creano le parole, oppure il fuoco che si addormenta… Quindi noi ci siamo avvicinati a questo testo, amando molto il testo e cercando di fare quello che Eduardo voleva, egli aveva scritto questa commedia per gli attori, curando benissimo tutti i ruoli. Questo è un grande testo corale, anche nei ruoli minori, togliendo qualsiasi vanità, non cercando nessun confronto, perché è improponibile, facendo venire fuori la forza dei personaggi, che è la bellezza della commedia. Io non sono il primo a farlo e non sarò certo l'ultimo, altri ne verranno…
Come regista che cosa ha apportato in quest'opera?
Ho fatto da una parte quello che faccio da sempre, quello che ho fatto anche su Molière e Marivaux, ma anche su di loro ho tenuto presente una lezione molto semplice di Eduardo: l' assoluta economia scenografica, una precisione nei costumi, perché i costumi anche se può sembrare una banalità sono quelli che circondano gli attori e quindi ci deve essere una totale concentrazione sul lavoro degli attori. Questo fa in modo che il pubblico non sia distratto da null'altro, ma solo sul gioco degli attori ed ecco che emerge la potenza del testo. È un teatro il mio, che crede fondamentalmente negli attori e nella recitazione. Tanto lavoro di prove. Io ho avuto la fortuna di avere due mesi di prove con la mia compagnia e mi sono potuto prendere la libertà come metodo di iniziare dal secondo atto, cioè la Domenica, e di risolvere l'esercizio forse più difficile, quello di rendere il più naturale possibile un pranzo domenicale.
Eduardo infatti nelle didascalia è molto chiaro e preciso...
Infatti Eduardo aiuta molto, e intorno a quel tavolo riuscivo a capire tutte le azioni che ci sono in tutti i componenti di questa famiglia e poi portarli in scena.
Quindi anche gli attori hanno dovuto imparare a conoscersi tra loro come se facessero parte di una vera famiglia?
Sì abbiamo cercato di creare proprio questo, anche tenendo conto del fatto che questa compagnia è solida, nel senso che lavoriamo da molto tempo insieme e poi alcuni elementi si sono inseriti perfettamente in un nucleo già molto affiatato. Quasi tutti hanno fatto Molière, Marivaux, Rasoi di Moscato; qui per la prima volta recitano con me Peppe Pedrazzi, Gigio Morra, Marcello Romolo.
Lei che ha portato in scena Zingari di Viviani con grande successo, pensa che il futuro del teatro napoletano appartenga solo a Eduardo o c'è spazio anche per altri autori meno rappresentati dai contemporanei? E quali differenze ci sono secondo Lei tra Viviani e Eduardo?
Io ho rappresentato Viviani, Moscato con due spettacoli Partitura e Rasoi che mi ha portato a grande successo anche internazionale.
Intanto mi piace sgombrare dal campo il conformismo che vede Eduardo e Viviani uno contro l'altro o uno migliore dell'altro, sono entrambi la ricchezza della drammaturgia napoletana, una ricchezza che sta proprio nella pluralità della differenza. Insomma, lo schematismo vorrebbe uno, Viviani, solo ed esclusivamente legato al popolo e l'altro, Eduardo, legato alla piccola borghesia.
Fanno anche un diverso uso della lingua...
Sì loro usano due lingue molto diverse, ma perché il teatro di Viviani, e lo dicono proprio i titoli dei testi stessi, è un teatro che sta stretto nei palcoscenici. Pensiamo ai titoli stessi di Viviani che portano il teatro per la strada, Pescatori, Zingari, la Mmaculatella, che sarebbe praticamente la zona dell'angiporto, Via Toledo, Napoli Notte e Giorno. È un teatro che attraverso la lingua fa un uso del corpo profondo, quasi sacrificato. Mentre il teatro di Eduardo trova la sua cornice nel palcoscenico e i personaggi di Eduardo sono legati più alla sfera del mentale o dell'ossessione nevrotica, ed egli stesso li chiude in questi interni, li "tortura" per usare un espressione di Macchia a proposito del teatro di Pirandello, autore con cui Eduardo ha qualche debito, non pedissequo, non noioso, ma Eduardo riscrive, in maniera geniale, le opere che amava di Pirandello, ma le fa proprie, le risolleva, le rigenera. Questi Fantasmi secondo me è una straordinaria riscrittura di Sei personaggi in cerca d'autore. Quindi, per usare un'espressione di Macchia, Eduardo usa il palcoscenico come una vera e propria stanza della tortura, nella quale mette i suoi personaggi e si diverte a guardarli con la passione dell'entomologo. Ecco perché ci vuole tutto un altro uso della lingua. Perché Eduardo dimostra di rarefare così tanto il dialogo, a differenza di quello che si può pensare di verbosità, che ad un certo punto arriva quasi ad un sussurro silenzioso, opposto alla veemenza, il portato forte di Viviani, che arriva invece ad una sintesi di quello che dice attraverso la musica e le canzoni.
Ci può parlare dell'esperienza con Moscato?
L'esperienza di Moscato è stata diversa, perché usa una lingua che io considero "creolo", una lingua inventata.
Per interpretare un testo di Moscato l'attore che tipo di lavoro deve compiere?
Credo che la strategia di attacco sia quella di comprendere profondamente l'opera dell'autore, analizzare il personaggio. Nel caso di Moscato io ho la fortuna di essere molto amico suo e di avere un continuo scambio, che ti consente di confrontarti e di vedere se sei sulla strada giusta. Questo accade anche con Eduardo, nel senso che secondo me, anche qui, il fatto che quasi tutta la produzione teatrale di Eduardo sia poi consegnata alle cassette video, rappresenta per molti una sorta di frustrazione, invece secondo me è un enorme apparato fisico, dove lui in azione, mette in scena, smentisce o arricchisce quello che scrive sulla carta. Bisogna avere uno sguardo nuovo rispetto alla drammaturgia, rispetto al fatto che il teatro di Viviani e di Eduardo siano fermi alla dimensione chiusa di Napoli e folklorica di tradizione manieristica. La presa che hanno sul pubblico è straordinaria c'è qualcosa di autentico nelle loro opere.
Concorda allora con il pensiero del De Marinis sull'importanza della rappresentazione teatrale rispetto al testo drammatico?
Eduardo è proprio l'esempio vivente di colui che rimbalza continuamente dalla pagina al palcoscenico e dal palcoscenico alla pagina.
Quindi il copione?
Sì lei dice bene, qua bisogna parlare di "copione", questi autori stavano in camerino e mentre recitavano un testo ne scrivevano un altro. Questi autori hanno la felicità espressiva di un musicista, che scrive un quartetto o una sinfonia e la vuole vedere subito eseguita.
Il peso della letteratura all'interno del teatro di Eduardo e di Viviani non esiste proprio. Sono attori che scrivono, quindi hanno la complessità e la felicità di attori che scrivono.
Abbiamo parlato di Eduardo senza Eduardo e sappiamo di alcune importanti esperienze di traduzione del teatro di Eduardo negli Stati Uniti. Possiamo allora parlare di teatro napoletano slegato dalla lingua napoletana ed esportato con successo per i suoi contenuti?
Eduardo è enormemente rappresentato nel mondo soprattutto nei paesi latini, in Sud America e anche in Grecia; paesi con temperamenti molto simili a quelli dei napoletani. Questo testo è stato rappresentato da Lawrence Olivier, ha una capacità di raccontare incredibile.
Il napoletano non deve rappresentare un ostacolo. Il napoletano deve essere una chance per gli attori per farsi capire e recitare nella maniera più naturale possibile, perché è una lingua madre, che non possiede fortunatamente i tic verbali o le acrobazie o il linguaggio italiota. Quindi anche quello va usato come un'arma e non come una debolezza.
Ma la traduzione può rappresentare un ostacolo?
Be' anche quando fai Shakespeare sai benissimo che ha acrobatismi verbali per cui dietro un termine inglese c'è ne sono 4 o 5 diversi.
Pensiamo ai personaggi dei fool, che sembrerebbero intraducibili. È sempre un limite la tra-duzione è sempre una fotocopia dell'originale.
Mi è capitato di leggere una traduzione di Filumena Maturano in uno slang americano. Cosa ne pensa?
Non lo so, quello che so è che ho fatto Sik Sik, l'artefice magico in Portogallo a Oporto, utilizzando un traduttore molto bravo che conosceva il dialetto di Oporto, si chiama "Trippeiro", deriva dal fatto che loro hanno una tradizione del cucinare la trippa in una certa maniera, usando questo stratagemma ha funzionato straordinariamente, perché loro riconoscevano la felicità del dialetto napoletano nel loro dialetto e probabilmente questa è una strada, per l'esperienza che ho avuto fuori dall'Italia.
La forza di Eduardo è nella forza tematica.
Come si muove tra cinema e palco?
La mia condizione naturale è il palcoscenico, io sono un uomo di teatro, ma lo dico con la semplicità di un uomo che ha 44 anni e fa questo lavoro da 25, ho cominciato giovane.
Il cinema mi interessa molto, mi piace molto. Secondo me bisogna intelligentemente affidarsi e scegliere il regista.
Il regista decide un tuo sguardo, un tuo monologo, e riesce a sortire un risultato interpretativo che tu attore non controlli, invece nel teatro tu controlli tutto quello che fai.
A questo proposito io cito spesso una frase di Marlon Brando molto efficace, nella quale dice che il teatro è degli attori, il cinema è dei registi e la televisione è dei residui. È evidente che uno che si sente attore dia la propria vita al palcoscenico. È la stessa differenza che ci può essere tra un'esecuzione di un quartetto dal vivo e la sua riproduzione su CD. È bellissimo, ma dal vivo c'è l'emozione di ciò che accade in quel momento.