2008
Forum Agorà. Il teatro per la parola, la parola per il teatro. Pubblico e operatori della scena a confronto, a cura di Antonia Lezza e Enzo Moscato, Napoli, Quaderno/4 dell'Associazione "Centro Studi sul Teatro Napoletano Meridionale ed Europeo", 2008.
Questo volume raccoglie scritti interessanti ed originali che sono il risultato della prima edizione del Forum Agorà (Benevento, 4 settembre 2007), un incontro-dibattito sul teatro nato nell'ambito della XXVIII edizione del Festival Benevento Città Spettacolo con la direzione artistica di Enzo Moscato.
Il volume, attraverso il contributo di studiosi, autori, attori, registi ed impresari, prende in esame il tema il teatro per la parola, la parola per il teatro, analizzando a più livelli (generi, codice linguistico, scrittura) la funzione della parola a teatro. Nella puntuale ed accurata Introduzione Antonia Lezza sottolinea come questi interventi riprendano "alcuni punti importanti del rapporto tra lingua, linguaggi, rielaborazione del testo, diffusione e conoscenza di esso, di funzione salvifica della parola, di autorappresentazione di essa, di forza affermativa ed operativa del teatro".
Scritti di: Antonia Lezza, Enzo Moscato, Gabriella De Fina, Giancarlo Cauteruccio, Giancarlo Mordini, Adolfo Ferraro, Gius Gargiulo, Gian Paolo Renello, Maurizio Zanardi, Emmanuel Wallon.
GIANCARLO CAUTERUCCIO, Panza, crianza, ricordanza. Tre pezzi dalla solitudine, Prefazione di Rodolfo di Giammarco, Con testi di Luca Nannipieri e Augusto Petruzzi, Firenze, Edizioni della Meridiana, 2008.
Il volume raccoglie tre poemetti/monologhi di Giancarlo Cauteruccio, attore, regista e scenografo, direttore artistico del Teatro Studio di Scandicci e fondatore della Compagnia Krypton. Nei tre testi (Mi fa fame, Parru sulu e M'arricuordu), che costituiscono lo spettacolo Panza, crianza, ricordanza. Tre pezzi dalla solitudine (prima nazionale 13 gennaio 2007, Teatro Politeama di Catanzaro), Cauteruccio indaga la sua voracità, la sua insaziabilità verso il cibo, il ricordo, gli affetti, i luoghi, la comunicazione, la parola, i corpi, gli spazi. Nella conversazione con Luca Nannipieri è lo stesso Cauteruccio ad affermare "divoro tutto. Divoro cibo, sigarette, divoro movimenti, progetti, soggetti, libri, voglio essere sempre al centro, non riesco mai a delegare, a rinunciare, e questa indole mi porta a una condizione di vita che è quella del divoratore".
I tre poemetti sono pubblicati in lingua calabrese e corredati della traduzione in italiano. A proposito della sua lingua teatrale, è interessante quanto afferma lo stesso Cauteruccio nel contributo dal titolo "Finale di partita" di Beckett: una vera sfida con la mia esistenza, qui l'autore-attore illustra le motivazioni che lo hanno spinto a portare la sua lingua originaria (il calabrese) nel suo percorso teatrale, a partire dall'allestimento di Finale di partita di Beckett tradotto in lingua calabrese. "Da quella traduzione - scrive Cauteruccio -, che ho lievemente adattato, si è avviato questo viaggio nella mia lingua madre. Non mi riferisco mai a questo idioma con il termine dialetto, perché credo che la lingua sia qualcosa di profondamente interiore e, dunque, ognuno di noi conserva e protegge dentro di sé la propria come un elemento vitale; la differenza tra lingua e dialetto risiede, a mio parere, nelle intenzioni culturali e antropologiche che vi si assegnano" (Forum Agorà. Il teatro per la parola, la parola per il teatro, a cura di Antonia Lezza e Enzo Moscato, Quaderno/4 "Centro Studi sul Teatro Napoletano Meridionale ed Europeo, 2008, p. 25).
Edito dalle Edizioni della Meridiana, il volume Panza, crianza, ricordanza inaugura la collana "Teatro Studio" (diretta da Giancarlo Cauteruccio) che ospiterà non solo testi drammaturgici, ma anche saggi, interviste, curiosità e studi su spettacoli e compagnie. È una scelta editoriale coraggiosa e significativa che offrirà materiali sul teatro contemporaneo, rispondendo a una concreta domanda di conoscenza da parte del pubblico e degli esperti del settore.
BEATRICE ALFONZETTI, Drammaturgia della fine. Da Eschilo a Pasolini, Roma, Bulzoni editore, 2008.
Che l'analisi di un testo letterario possa partire dall'interpretazione del titolo è un fatto comune; ma che il finale - spesso identificato semplicemente con lo "scioglimento" delle sequenze, limitatamente al suo contenuto - possa diventare un potente strumento interpretativo, capace di orientare non solo la lettura, ma anche di illuminare i rapporti tra il testo e il contesto culturale di riferimento, è un dato su cui la ricerca non si era ancora soffermata (se si escludono gli studi di Giulio Ferroni e i saggi curati dal critico insieme alla stessa autrice, I finali. Letteratura e teatro, Bulzoni, 2003).
Ebbene, il saggio dell'Alfonzetti - incentrato sull'esegesi dei finali della drammaturgia cinque-settecentesca, con i suoi richiami al teatro antico (da Eschilo a Seneca), fino all'età contemporanea - diventa, in questo senso, un esempio importante per le scelte metodologiche, perché vi si dimostra come, attraverso l'ermeneutica dei finali e l'interpretazione della loro complessa architettura, gli stessi possano essere assunti quali "emblemi epocali", veri e propri microcosmi in cui, quasi in un rapporto di "sineddoche" (di pars pro toto), "convergono mentalità e immaginario, antropologia e morale, politica e religione" (Premessa, p. 7). Le raffinatissime analisi - applicate a un ampio ed eterogeneo corpus di testi (si va dall'Adone di Giambattista Marino ai Sei personaggi di Pirandello; dagli atti unici di Viviani a Gli indifferenti di Moravia) - provano dunque come le scelte culturali e le svolte più significative di un'epoca si possano concentrare tutte proprio nelle sequenze dei finali: dalle morti eroiche volontarie, esibite sulla scena del Settecento, alla morte svuotata degli elementi retorici, cifra costante degli atti unici del primo Novecento; dal finale aperto, che "non conclude", tipico delle farse tragiche del Novecento, al "finale circolare" del teatro dell'assurdo di Ionesco.
Il falso e il vero. Il teatro di Arturo Cirillo, a cura di Andrea Porcheddu, Pisa, Titivillus edizioni, 2008.
Il volume ricostruisce il percorso teatrale del regista, attore e capocomico Arturo Cirillo, nato a Castellammare di Stabia nel 1968 e diplomato all'Accademia "Silvio D'Amico" di Roma nel 1992.
Il libro si articola in due parti: la prima contiene una lunga introduzione in cui Andrea Porcheddu traccia il viaggio artistico di Cirillo (La vita, L'attore, La regia, Il mascheramento) e una significativa conversazione con lo stesso Cirillo; la seconda parte è una raccolta di testimonianze sotto forma di intervista degli attori e del gruppo di lavoro di Cirillo, che completano la costruzione del suo ritratto artistico ed umano.
Inoltre, il volume è corredato da un ricco e prezioso apparato fotografico, costituito dalle foto di scena che in maniera cronologica rappresentano il percorso artistico di Cirillo: La lezione (1999), La notte è madre del giorno (2001), Il bacio della vedova (2002), Mettiteve a fa l'ammore cu me! (2002), Le nozze di Antigone (2003), L'Ereditiera (2003), La piramide! (2004), Le intellettuali (2005), Le cinque rose di Jennifer (2006), Don Fausto (2007), Sempre così ragazzi (2007), L'Alidoro (2008). Conclude il volume una dettagliata teatrografia.
Scritti di: Patrizia Bologna, Massimo Bellando Randone, Francesco De Melis, Gianluca Falaschi.
LUCIANA LIBERO, Il teatro e il suo Sud. Politiche, economia e linguaggi della scena italiana, Roma, Bulzoni editore, 2008.
Lo studio di Luciana Libero prende in esame i limiti del sistema produttivo, organizzativo e distributivo del teatro di prosa nel Sud, dove si riscontrano delle criticità e delle punte di eccellenza che evidenziano differenze notevoli non solo tra il teatro meridionale e il sistema teatrale del resto dell'Italia, ma anche tra le stesse regioni del Sud e delle isole.
Il volume si articola in due parti: la prima generale dedicata all'Italia e la seconda, più particolare, al Sud, "per rispecchiare - come afferma la studiosa nell'Introduzione - la realtà del nostro paese, da sempre considerato spaccato in due" (p. 13). Anche il teatro (dal punto di vista di mezzi, economie e risorse), come tanti altri settori, non sfugge a questa plurisecolare divisione. Indiscutibilmente esiste una "questione teatrale meridionale" che permane nella quantità delle risorse messe a disposizione dallo Stato, segnando così vaste zone di disequilibrio tra Nord, Centro e Sud, a fronte di una vivacità artistica e culturale che andrebbe sostenuta. Allo stesso modo permane una "questione teatrale nazionale" che riguarda la precarietà delle normative sulla prosa che ha condotto il teatro in pochi decenni in una zona di marginalità e invisibilità.