Immigrazione
a cura di Claudio Marra
cmarra@unisa.it
A. Statistiche sulla migrazione nel mondo, in Europa e in Italia
B. Immigrazione in Italia. Schede statistiche territoriali
1. Uno sguardo sociologico
Quando si parla di immigrazione ci si riferisce ad uno degli aspetti del più generale fenomeno delle migrazioni: il movimento di singoli o di gruppi che si spostano dal paese di nascita e/o di cittadinanza per raggiungere un altro in cui si insediano in modo più o meno duraturo.
Nel testo che segue si darà qualche indicazione introduttiva sull’analisi dei processi migratori, che non possono sostituire lo studio dei testi di più ampio respiro nei quali è dettagliatamente indicata l’articolazione del fenomeno nelle sue dimensioni internazionali, europee e nazionali. Alcuni di questi volumi sono indicati nei riferimenti bibliografici.
Un primo elemento analitico da cui partire per parlare di migrazione è di distinguere due aspetti complementari: da un lato, l’emigrazione che pone l’attenzione al paese di partenza e, dall’altro, l’immigrazione che invece focalizza l’attenzione sul paese di arrivo o di approdo.
In effetti, quando si parla, a vario titolo di “immigrati”, si dimentica, spesso, che sono anche degli “emigrati” dal loro paese, accomunando sotto una medesima categoria persone che provengono da storie diverse.
Come si può intuire da queste considerazioni introduttive sui caratteri dei movimenti di individui o gruppi, sono molti gli aspetti analitici che si intrecciano, rendendo il fenomeno migratorio particolarmente complesso. A questo proposito, c’è chi, rifacendosi alla riflessione di Marcel Mauss (Essai sur le don del 1924),ha proposto di considerare la migrazione come un fatto sociale totale, in cui è coinvolta la totalità della pratica umana, che si articola nell’interazione con l’universo economico, sociale, politico, culturale e religioso in cui vive l’uomo, e con le sue rappresentazioni del mondo. Lo stesso percorso migratorio, e il conseguente inserimento più o meno transitorio in una società diversa da quella in cui il migrante ha conosciuto la sua socializzazione e formazione, lo costringono a rielaborare le sue rappresentazioni del mondo in termini di discontinuità, ambivalenze e innovazione.
Si tratta, quindi, di una complessità intesa come multidimensionalità, per cui le stesse categorie concettuali e tipologie adottate dalla ricerca scientifica sono di continuo messe alla prova e ridiscusse. Ad esserlo sono soprattutto quelle “dicotomiche” e quelle che, in generale, tendono a classificare e categorizzare i flussi migratori in entrata, appiattendoli su un’unica dimensione. Un problema di questo genere si pone dell’analisi delle cause della migrazione.
A proposito delle cause di natura strutturale, in letteratura si distinguono fattori che spingono a partire (push factor) e quelli che spingono a scegliere un determinato paese (pull factor). Nel considerare, i percorsi che intraprendono i migranti e con la necessità analitica di individuarne una tipologia sociologica, occorre tener sempre presente come si intrecciano questi due fattori. Ponendosi dal punto di vista dei migranti, è frequente che, alla base della loro scelta di partire, vi siano più motivi. Molto spesso si attribuisce alla richiesta di asilo il solo motivo di emigrazione trascurandone altri come, ad esempio, il lavoro che è comunque alla base di un progetto di vita in un paese diverso da quello di nascita, e che è scelto anche perché se ne ha un’immagine legata ai valori democratici.
È di certo importante tener conto dei fattori strutturali delle migrazioni, soprattutto nel loro essere vincolo per gli individui. La mancanza di opportunità di vivere un futuro che appaia dignitoso per sé e per la propria famiglia deriva proprio da questi condizionamenti oggettivi. Ma è pur vero che nell’oggettività rientra anche il fatto che egli si rappresenti quelle cose in cui è immerso. Ciascun migrante, in quanto uomo, ha un punto di vista. È collocato in uno spazio sociale e, a partire da questo punto, egli osserva il mondo. Il lavoro del sociologo consiste appunto nell’inglobare questi due aspetti.
Il fenomeno migratorio si analizza anche attraverso diverse dimensioni
La prima è quella temporale, rispetto alla quale si distinguono le migrazioni temporanee, quelle relative ai lavori stagionali di raccolta di frutta e derrate in agricoltura, da quelle stabili, caratterizzate da progetti migratori che prevedono il proprio futuro nel paese scelto come destinazione. A questo proposito, sulla base delle ricerche condotte sull’esperienza migratoria, si può affermare che nei migranti è molto frequente “il mito del ritorno”;la maggior parte di essi sogna di ritornare nel proprio paese, sia pure per il solo motivo di mostrare ai propri compaesani il proprio riscatto. Un’altra dimensione è quella relativa alla regolarità dell’ingresso e della presenza nel paese d’approdo in possesso di documentazione appropriata che ne attesti la presenza in quanto cittadino di un altro paese. Questa ultima tipologia si riconduce necessariamente ai diversi orientamenti delle politiche adottate dagli Stati che possono essere “di contenimento” o “di apertura” nei confronti dei processi d’immigrazione.
Un’altra importante dimensione riguarda la distinzione tra migrazioni forzate e migrazioni volontarie. Ma, a questo proposito, non è possibile affermare sino a che punto le migrazioni siano “volontarie”, tenendo conto delle condizioni strutturali in cui queste maturano (i cosiddetti fattori di spinta) e che lo stesso “mito del ritorno” mostra che è difficile che una persona lasci volentieri il proprio paese di nascita, dove ha una serie di legami personali parentali/amicali.
È a partire da queste considerazioni che è stato proposto di considerare per “migrazione forzata” sia quella dei richiedenti asilo e di rifugiati, sia la stessa migrazione economica, in quanto causata dalla povertà e dai bassi salari (Samers, 2010). In senso stretto, comunque si riferisce ai movimenti di rifugiati e di persone costrette a muoversi all’interno del paese a causa di conflitti o di disastri naturali, ambientali, chimici o nucleari, carestia o progetti di sviluppo. I richiedenti asilo sono persone che richiedono una protezione internazionale. Nella maggior parte dei casi, la domanda di asilo viene fatta una volta raggiunto il paese di destinazione, sebbene sia possibile farla anche prima di giungervi, ad esempio recandosi presso un’ambasciata o un consolato dello Stato a cui si intende richiedere protezione. Nello spiegare perché le persone cerchino una via di fuga altrove, la definizione di rifugiato presente nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1951, si focalizza sul concetto di “persecuzione”. Va ricordato che ancora oggi vi sono regimi politici che mettono in atto una dura repressione nei confronti di alcune fasce di popolazione.
Un’analisi che voglia essere esaustiva del quadro delle migrazioni, non può certo trascurare le migrazioni forzate, tenendo conto della proliferazione di conflitti e di squilibri geopolitici che connotano lo scenario internazionale. Forniremo in seguito un quadro sintetico dei dati a riguardo.
Per comprendere i progetti migratori e i relativi percorsi, occorre tenere conto che le scelte possono cambiare nel tempo, e con queste le traiettorie (scelta del paese d’approdo) e le aspettative di durata del progetto migratorio. Vi sono molti casi nei quali ci si muove anche per scopi esplorativi, per cui un progetto che alla partenza prevedeva solo un periodo limitato, come nel caso del visto turistico e quello per il lavoro stagionale, può trasformarsi in un progetto di insediamento più stabile, dopo aver conosciuto meglio le opportunità di lavoro che offre il paese d’approdo. Questo è il caso ad esempio dei lavoratori immigrati in agricoltura nelle regioni del Sud Italia che si spostavano successivamente nelle regioni del Nord. Questa migrazione interna dei lavoratori stranieri avveniva in base alla catena migratoria alimentata da altri immigrati (soprattutto connazionali) i quali trasmettevano informazioni relative alle possibilità nelle regioni del Nord di lavoro e di tessuto sociale, e di una rete di servizi che rendevano possibile un futuro stabile per la propria famiglia lasciata in patria.
A proposito dell’analisi dell’immigrazione, sono molte le voci critiche che affermano la necessità di superare un atteggiamento sociologico che troppo spesso riduce la prospettiva di analisi al solo punto di vista della società d’approdo. Si parla di immigrati, quelli che arrivano, considerandoli unicamente in quanto “diversi da noi”; analizzando, quindi, il loro arrivo in termini di “problema” se non addirittura come “pericolo”. A questo proposito, particolarmente utili risultano i rilievi critici di Abdelmalek Sayad (1990), con echi anche italiani (Dal Lago, 1995). Nel suo libro La double absence pubblicato in Francia nel 1999, Sayad mostrava di essere particolarmente critico nei confronti della sociologia delle migrazioni che, soprattutto nel caso francese, a suo avviso dimostrava di essere uno strumento di potere che spiava gli immigrati per fornire conoscenze utili a selezionare, reclutare, inquadrare e plasmare i “buoni” ed eliminare i “cattivi”. Non si può nascondere che molti discorsi di uomini politici sono incentrati sull’assunto che l’immigrazione risulti un pericolo per il nostro paese in termini di attentato alla nostra sicurezza e come irruzione di “potenziali criminali”. In tal senso, le osservazioni di Sayad risultano particolarmente illuminanti. Nello studiare il fenomeno migratorio, privilegiare il punto di vista della società d’approdo contribuisce a costruire un’immagine dell’immigrazione come “problema” ed “emergenza”, e non come “bisogno” da parte degli immigrati che, come si dirà più in dettaglio a proposito dell’esperienza italiana, si trovano qui per motivi strutturali che riguardano la stessa sopravvivenza del nostro sistema economico.
A questo punto risulta più chiaro che esplicitare il punto di vista degli immigrati nasce, come già detto, dall’esigenza di superare, per quanto possibile, una visione dell’immigrazione come “problema” (se non addirittura come “invasione”). Per non parlare addirittura del rischio generale derivante da un certo “etnocentrismo sociologico” che, nel proporre un “modello di integrazione” (e quindi nel definire un lavoratore straniero un “immigrato”) dimostra di trascurare la sua vita precedente all’arrivo, perdendo di vista la sua soggettività e il suo bagaglio esperienziale e culturale con il quale (e attraverso il quale) essi si inseriscono nel paese d’approdo del loro progetto migratorio.
2. Le relazioni migratorie
Dalle considerazioni sinora esposte emerge l’esigenza per una lettura sociologica che integri la dimensione strutturale (fattori di spinta e fattori di attrazione) con quella individuale, che riguarda le esperienze individuali e le strategie attivate dagli immigrati in reazione a tali fattori. Un approccio metodologico che si è sviluppato proprio a partire da questa esigenza, prevede l’analisi dell’esperienza migratoria in termini di campo di relazioni sociali in cui sono immersi gli immigrati stessi, che riguardano sia il loro comportamento “in relazione alle condizioni strutturali”, sia quello che si gioca a livello delle appartenenze alle varie cerchie sociali nelle quali i migranti sono coinvolti “alle condizioni di partenza” e durante il percorso migratorio. Oltre alle relazioni tra connazionali, parenti ed amici nel paese d’origine, si aggiungono quelle che, nel paese d’approdo, si alimentano sia tra immigrati (connazionali e non), sia tra immigrati e gli “autoctoni”. Ponendosi da questo punto di vista analitico, si possono cogliere gli aspetti di “autonomia individuale” che caratterizzano l’esperienza migratoria (Mezzadra, 2001). Non a caso, la ricerca internazionale mostra che a partire sono soprattutto le persone più intraprendenti e reattive, che hanno una pregressa esperienza lavorativa nel paese d’origine.
La migrazione, nel suo complesso, si mostra come azione collettiva, espressione e nello stesso tempo causa di profonde trasformazioni sociali che si giocano sia nei paesi di provenienza, sia nei paesi in cui i migranti si stabiliscono. Nel suo essere animata da innumerevoli progetti migratori, essa induce trasformazioni sociali che non coinvolgono solo gli individui che migrano. Dall’interazione tra i migranti in quanto gruppo e i gruppi sociali di cui fa parte la società d’approdo, si attiva la creazione di nuovi spazi sociali e culturali. Nello stesso tempo, la forza lavoro contribuisce allo sviluppo economico delle società d’approdo. L’approccio di rete si rivela particolarmente efficace nel caso degli immigrati appartenenti a comunità di più antico insediamento e/o presenti da più tempo nella società d’approdo.
Questa prospettiva metodologica, quindi, mette in luce che i raggruppamenti di cui fanno parte gli immigrati sono caratterizzati da contatti ricorrenti tra le persone che ne fanno parte, e che sortiscono da legami di tipo occupazionale, familiare, culturale o affettivo. Per meglio comprendere questo discorso, vanno ricordate altre due caratteristiche delle reti in cui sono immersi gli immigrati: da un lato, incanalano, filtrano e interpretano informazioni, articolano significati e, dall’altro, controllano i comportamenti dei soggetti che ne fanno parte. Le reti di sostegno forniscono le risorse che permettono agli immigrati di attivare strategie efficaci per affrontare le difficoltà che presenta il percorso migratorio.
Tale approccio teorico rende anche possibile superare una concezione delle reti sociali dell’immigrato appiattita sulla sola base etnico-nazionali (networks migratori). Nella misura in cui matura il processo d’inserimento sociale, appare sempre più evidente il ruolo che assume nelle reti sociali dell’immigrato la presenza di autoctoni, sia considerati individualmente, sia intesi come associazioni e istituzioni.
Nello studio dei fenomeni legati ai processi migratori, seguendo tale approccio risulta efficace introdurre una concettualizzazione del capitale sociale come una risorsa potenziale che inerisce alle reti sociali . In quanto proprietà emergente delle relazioni sociali, nel caso del fenomeno migratorio, le scelte individuali nelle fasi dell’itinerario migratorio (partenza dal paese d’origine, arrivo al paese d’approdo, decisione se rimanere temporaneamente o stabilizzarsi, ecc.) non vanno considerate in relazione esclusivamente alle risorse materiali e cognitive che pure gli provengono dal gruppo familiare e etnico. Un’analisi esauriente deve tener conto anche dei modi coi quali i contatti interpersonali plasmano le informazioni e collegano gli immigrati con le opportunità strutturali, con le risorse materiali o cognitive che egli acquisisce. Il ruolo delle reti si realizza, evidentemente, con diverse modalità, a seconda della fase del processo d’inserimento sociale.
3. Definire l’immigrato
Il termine “immigrazione” indica sia un movimento (si parte dal proprio paese per giungere al paese che si è scelto come meta d’immigrazione), sia un risultato (si arriva, si tenta di inserirsi, e dalla società d’approdo è definito come “immigrato).
Dal punto di vista del risultato, “italiani”, “immigrati” e “stranieri” appartengono tutti alla popolazione italiana. Ma sta di fatto che queste tre categorie sono talvolta confuse tra loro (soprattutto la seconda e la terza) e talvolta sono considerate distinte. Nei casi concreti occorre usare queste categorie con cautela. Se, da un lato, l’immigrato è, per definizione, chiunque viene qui dall’estero”, dall’altro, nel linguaggio corrente diventa colui al quale si attribuisce un determinato stereotipo legato all’appartenenza etnico-nazionale (ad esempio, i ghanesi sono “simpatici”, i rom sono “ladri”, ecc.) ad uno status sociale (gli “extracomunitari sono poveri” e “portano malattie”) ecc. Un esempio esplicativo. Un alto dirigente statunitense che lavora in Italia, che di fatto è un “cittadino extracomunitario”, sarà difficilmente percepito come un “immigrato” rispetto ad un giovane di nazionalità italiana nato in Italia da genitori senegalesi immigrati in Italia. Ora, mentre il primo è un immigrato straniero, il secondo, italiano di nascita, non è certamente venuto in Italia dal paese d’origine dei suoi genitori. Eppure, secondo una categorizzazione che è adottata anche dagli studiosi, esso è definito “immigrato di seconda generazione”. Quest’ultimo caso è ancora un altro degli innumerevoli esempi degli effetti di una visione sociologica etnocentrica la quale, perdendo il punto di vista del soggetto, si priva di coglierne appieno l’esperienza. Nel caso dei figli degli immigrati, ascrivere la loro esperienza a quella dei loro genitori in quanto immigrati, significa trascurare quasi del tutto il loro essere educati e formati in Italia. Le visioni del mondo le hanno maturate in un contesto socio-culturale diverso da quello dei propri genitori.
È la stessa presenza di famiglie d’immigrati a mettere in discussione i modelli culturali della società d’approdo, tanto che si può parlare di integrazione in termini d’interazione reciproca tra i migranti e la società d’inserimento. Da un lato, è lo stesso tessuto sociale che si riorganizza in relazione all’inserimento di persone che sono state coinvolte in un processo di socializzazione in contesti caratterizzati da sistemi culturali diversi da quelli d’approdo. Dall’altro lato, sono gli stessi migranti ad essere coinvolti in processi di ri-socializzazione nella misura in cui vivono la propria esperienza sociale nel paese d’approdo. In questo caso, si può parlare d’immigrati come “attori in divenire”, e qui sembra opportuno (se non doveroso) precisare che proprio per superare la percezione degli immigrati in termini di persone dallo status definitivo è stato proposto di parlare di “immigranti” (a partire dal termine inglese immigrants), per sottolineare una condizione che è, invece, o dovrebbe essere, transitoria (Galissot, Kilani e Rivera, 2001).
Il termine, quindi, ha il pregio di indicare un passaggio, uno status provvisorio che dovrebbe essere superato con la pienezza della partecipazione sociale e della cittadinanza. L’immigrato non è necessariamente uno straniero: i due termini riconducono a due distinte realtà. Come già detto, il primo fa riferimento ad un percorso da un paese d’origine ad un paese d’approdo. Il secondo, ad una nazionalità. E qui occorre stare attenti a non fare confusione. Si pensi al caso di immigrati nati all’estero da genitori italiani e che, quindi, sono di fatto italiani, poiché l’Italia ha adottato una normativa sull’acquisizione di nazionalità basata sul diritto di sangue.
Ne consegue che, oltre agli stranieri e immigranti, gli stessi italiani hanno origine dall’immigrazione. D’altronde, nel considerare il quadro sociodemografico italiano ad una certa data, dobbiamo tener conto anche della popolazione straniera residente, la cui consistenza ha subito considerevoli aumenti soprattutto a partire dagli anni ’70. Ma procediamo con ordine partendo dal contesto internazionale ed europeo.
4. Un fenomeno mondiale
L’immigrazione s’inscrive in un contesto internazionale legato a dei persistenti squilibri economici, sociali e politici, che accomunano i paesi ricchi e quelli poveri. Nello stato attuale un po’ tutti i paesi del mondo si trovano a confrontarsi con questo fenomeno.
Rimanendo nei limiti di un discorso giocoforza sintetico, si può comunque ricordare che l’analisi dei flussi migratori a livello internazionale, e rispetto ai quali anche le dimensioni nazionale e locale assume significato, debba essere contestualizzata rispetto ai fenomeni della globalizzazione. Non a caso, c’è chi considera la nostra come l’era delle migrazioni (Castels e Miller, 2009), proprio per sottolinearne le dimensioni globali. In quanto azione collettiva, la migrazione può essere considerata una globalizzazione dal basso che si ripercuote nei diversi sistemi geopolitici: progettando il loro futuro in un paese diverso da quello di nascita, i migranti dimostrano un atteggiamento cosmopolita. Un fenomeno che si evidenzia con particolare chiarezza è quello della proliferazione delle transizioni migratorie per cui alcuni paesi tradizionalmente di emigrazione, come l’Italia o la Polonia (per rimanere ai soli esempi europei), sono a loro volta diventati paesi di transito o di immigrazione stabile. In sintesi, era delle migrazioni significa che è caratterizzata da un fenomeno che, nei suoi effetti dirompenti, coinvolge anche i non migranti.
Letture consigliate
Ambrosini M., Richiesti e respinti. L’immigrazione in Italia: come e perché, Milano, Il Saggiatore, 2010
Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino, 2011
Bonifazi C., L’immigrazione straniera in Italia, Bologna, Il Mulino, 2007
Caritas e Migrantes, XXVII Rapporto Immigrazione 2017-2018. Un nuovo linguaggio per le migrazioni, Tau, Todi (PG), 2018
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Corti P., Storia delle migrazioni internazionali, Roma-Bari, Laterza, 2003
Dal Lago A., Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 2004 (edizione ampliata)
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