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EMMA DANTE, Carnezzeria. Trilogia della famiglia siciliana, Prefazione di Andrea Camilleri, Roma, Fazi Editore, 2007.
Pubblicato nella collana “Le vele”, il volume raccoglie tre celebri drammi (mPalermu, Carnezzeria, Vita mia) della regista e autrice siciliana Emma Dante, fondatrice della Compagnia teatrale Sud Costa Occidentale.
La Prefazione alla Trilogia della famiglia siciliana è di Andrea Camilleri; forse la scelta del prefatore non è casuale, in quanto non si tratta solo di un illustre Siciliano che analizza un teatro in lingua siciliana, ma probabilmente c’è anche una motivazione di tipo affettivo perché Camilleri è stato uno degli insegnanti di Emma Dante durante il suo corso di studio presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”. In una densa intervista, pubblicata nel volume Palermo dentro. Il teatro di Emma Dante, a cura di Andrea Porcheddu (Editrice Zona, 2006), la Dante racconta gli anni della sua formazione e ricorda, con grande gioia, il saggio fatto con Camilleri su La Morsa di Pirandello, definendo il Maestro come “un personaggio antologico”.
Nella Prefazione Camilleri si sofferma sulla lingua del teatro di Emma Dante, precisando che non si tratta di dialetto siciliano, ma di parlata palermitana, ovvero nel variegato dialetto siciliano la Dante ha scelto quel tassello che geograficamente più si addice ai suoi personaggi. A proposito dell’uso del dialetto a teatro, Camilleri prendendo spunto da un noto articolo di Pirandello sul teatro in dialetto, in cui l’autore dichiarava a priori la sua riduttività dal punto di vista del valore letterario e il conseguente ristretto numero di spettatori per l’ostacolo linguistico, per poi successivamente autosmentirsi con il suo stesso teatro dialettale, fa un vero e proprio elogio del dialetto come unica possibilità espressiva e sottolinea come la Dante faccia “un’operazione ulteriore utilizzando con intelligenza e rigore la specificità della parlata da lei prescelta”. Nella Prefazione lo scrittore osserva – giustamente – come “i dialoghi della Dante sono a cavare e non a mettere, nel senso che si limitano a quanto deve essere detto con secchezza e immediatezza”. Questa riflessione conferma la peculiarità della lingua siciliana che – come è noto – tende più ad alludere che a dichiarare, utilizzando meno parole del necessario e con significati nascosti.
In apertura del volume si legge il testo che ha rivelato all’attenzione della critica e del pubblico il talento di Emma Dante: mPalermu, vincitore del premio Scenario 2001 e del premio Ubu 2002. mPalermu (ovvero “dentro Palermo”) affronta l’immobilità, il silenzio della città di Palermo; pertanto, la famiglia Carollo (Mimmo, Nonna Citta, Giammarco, Zia Lucia, Rosalia), che tenta di varcare la soglia della sua casa (senza riuscirci!) per la rituale passeggiata domenicale, simboleggia proprio questa immobilità che, allo stesso tempo, rappresenta anche l’anima del mondo, ininterrottamente indaffarata e incessantemente morente.
Segue Carnezzeria, vincitore del premio Ubu 2003, che – come scrive la stessa Dante nell’autopresentazione – è la storia di una di quelle “famiglie di carne da macello, con i suoi legami morbosi, con le sue fughe isteriche e paralizzanti, con la sua aria ristagnata di odore di fumo”. A proposito del titolo del testo, Carnezzeria, è opportuno ricordare che è fortemente ancorato a Palermo, in quanto si tratta di un lemma di origine spagnola, “carnezzeria” (macelleria), che è propriamente palermitano, infatti, non si usa, ad esempio, a Catania né nel resto della Sicilia.
Vita mia, che chiude la Trilogia, è un testo fortemente autobiografico. È una veglia. Attraverso le proiezioni mentali della follia di una madre si assiste a un evento tragico: la morte di suo figlio. Ed è proprio il tema della morte (indiscutibilmente simbolica) il filo rosso che lega i tre lavori della Trilogia: in mPalermu la morte è appena accennata (Nonna Citta); in Carnezzeria è già presente (Nina); in Vita mia è palese (Chicco).
Il teatro di Emma Dante, come spiega in maniera illuminante lo stesso Camilleri, è caratterizzato dall’uso particolarissimo sia della parlata palermitana che del tempo teatrale. Ma l’aspetto più forte della drammaturgia della Dante è, sicuramente, il ritmo, la sonorità onomatopeica della lingua. D’altronde, la presenza del cunto nel suo teatro dimostra ulteriormente la sua attenzione verso la scansione ritmica del racconto. In particolare in mPalermu il cunto della partita Palermo-Triestina è introdotto dal verbo abbanniàndo assai significativo da un punto di vista sonoro; si legge nella didascalia: “Mimmo, abbanniàndo come un ossesso, fa il cunto della partita Palermo-Triestina che immortalò il Palermo in serie A”. Occorre ricordare che l’abbanniàta (da abbanniàre = gridare, bandire) – come si legge nella nota-glossario a piè di pagina – è “il canto di melodie arabe dei venditori ambulanti o i gorgheggi isterici con cui le madri, da dietro le persiane chiuse delle finestre, chiamano i figli”.
La quarta di copertina contiene un ricordo della cantautrice catanese Carmen Consoli che suggella il suo sodalizio con la Dante in occasione del tour Carmen Consoli in teatro, per il cui allestimento la Dante ha scritto tre monologhi in lingua siciliana (Eva e le bambole, La sposa zoppa, ’U corvo d’u malaugurio) ed ha firmato la regia. Si legge: “Sono un’ammiratrice scatenata di Emma. Mi piacciono i suoi personaggi, la loro carnalità”.
Nunzia Acanfora