unisa ITA  unisa ENG


La critica - Recensioni libri

Recensioni / Libri

 

MARCO BALIANI, Corpo di Stato. Il delitto Moro, Milano, Rizzoli, 2003.

 

Una partitura dell'anima, prima che della mente, quella del testo di Baliani, che, in una prosa lucida e secca, incrocia frammenti di una storia personale e autentica - ambientata nel '68, negli anni della contestazione - con le sequenze più note della grande Storia, degli anni di piombo, in cui ricostruisce la cronaca del delitto di Aldo Moro.
Senz'altro un racconto della memoria, di un passato prossimo vicino a noi, che, nel libro Corpo di Stato, Marco Baliani ricuce con chiarezza ed onestà, ripercorrendo sul filo della memoria personale gli anni in cui il "caso Moro" aprì una ferita profonda tra il fronte della Liberazione e il fronte dello Stato della fermezza (p. 85), segnando un varco incolmabile tra le generazioni, divise tra fortissime tensioni ideali, violenza collettiva e assolutismo ideologico.
Il monologo si apre con due sequenze parallele, dense e veloci, di fatti di cronaca accaduti nello stesso giorno (il 9 maggio del 1978), ma i luoghi sono diversi: il primo delitto si consuma a Roma, in Via Montalcini, il secondo sui binari di una ferrovia, a Cinisi, in Sicilia. Protagonisti sono due corpi: uno è quello di Moro, consegnato alla memoria collettiva nei fotogrammi, rimasti indelebili, del ritrovamento del cadavere nella Renault rossa; l'altro è il corpo del militante di sinistra Giuseppe Impastato ucciso dai manovali della mafia, gli stessi che tutti i giorni denunciava dai microfoni della sua radio (p. 12). Questa storia dimenticata del giovane siciliano, sepolta nell'oblio generale, diventa così una tessera di un mosaico, che verrà ricomposto e legato insieme ad altre storie di giovani di sinistra (Giorgio, Riccardo, Armando), che rivivono nel racconto teatrale.
Filtrate attraverso l'autenticità della narrazione autobiografica, queste testimonianze del vissuto personale vanno a intrecciarsi con l'oggettività della storia di quegli anni, raccontata attraverso un'attenta ricostruzione dei fatti, raccolti in innumerevoli fonti: con notizie ricavate da articoli di giornali o dossier di atti giudiziari, autobiografie dei brigatisti, e ricerche letterarie (sui testi-documento di Sciascia, L'affaire Moro, e Sofri, L'ombra di Moro). Le vicende narrate appaiono perciò filtrate attraverso il punto di vista non solo del narratore, ma di un'intera generazione: una generazione imprigionata, come il corpo di Moro, in una lotta tra fazioni - le BR da una parte e la classe politica dell'epoca - entrambe, in fondo, divise davanti a quella tragedia della coscienza, che fu la prigionia di Moro.
In questa prima parte del testo, dove più che narrare Baliani tende a rappresentare i fatti, le scene appaiono montate attraverso una singolare scansione di sequenze-chiave (con episodi dedicati emblematicamente a specifici luoghi tematici, intitolati Manifestazione, Posto di blocco o dedicate anche a singoli personaggi come, per esempio, le pagine della storia di Armando). Segue poi una seconda tranche, intitolata semplicemente Diario, con la descrizione delle note di regia e di quello che potrebbe essere il dossier, in cui il regista documenta le varie fasi di preparazione dell'allestimento scenico di Corpo di Stato, girato per una diretta di Rai Due a Roma, nei fori traianei, in occasione del ventennale della morte di Aldo Moro. Baliani torna così, dopo sei anni di assenza da Roma, nel cuore segreto della città e descrive i dubbi, le sensazioni, tutte le emozioni di quei giorni di preparazione e allestimento di un racconto teatrale, ambientato in un luogo simbolico della Roma antica, il cuore dello Stato, con i frammenti di un mondo passato, le colonne del tempio della Giustizia e, alle spalle, la città nuova di Roma. L'asse calamitante della storia, come descritto nel suo disegno drammaturgico, non è, come nelle altre fonti del "caso Moro", la persona, ma, per una precisa scelta dell'autore Baliani, il "corpo di Moro, proprio la fisicità di quel suo corpo divenuto ingombrante, sia da vivo, corpo prigioniero, sia da morto, corpo immolato/destinato a diventare il capro espiatorio" (p. 85) di una tragedia, che ricorda, per la pietà e l'orrore che continua a suscitare, quella di Antigone e Creonte dove pure protagonista è un corpo ingombrante che, sottratto allo sguardo pubblico, diviene ancora di più segno di una colpa e di un'ingiustizia. In questo testo si racconta dunque una tragedia del passato prossimo, della storia recente con parole semplici, che si dipanano in un fluire di un racconto, in cui l'attore e regista Baliani riflette anche sulle diverse capacità di comunicazione di un monologo, scritto per una performance teatrale, ma destinato anche a un'utenza televisiva; si sofferma per esempio sulla descrizione dello spazio e dei tempi teatrali, diversi da quelli del medium televisivo, dove l'utente non è "toccato" direttamente dal corpo e dalla voce dell'attore. Nonostante questo limite, l'attore si rende conto che però il mezzo televisivo può anche arricchire il suo racconto, perché ci dimostra come si possa gestire la recitazione con strumenti diversi per esempio il microfono, che modifica la voce, integrata peraltro con altri mezzi, visivi e sonori, dati dall'uso di video e foto dell'epoca anche inedite, capaci di dare sostegno alla voce, e di amplificare in maniera ancora più efficace quella che è la memoria emotiva.
Con questo testo Baliani, partendo dalla rappresentazione di un corpo diventato "ancor più segno di un'ingiustizia compiuta, parabola terminale di una troppo lunga prigionia" (p. 86) vuole dare un messaggio forte, riscrivendo la tragedia che diventa collettiva, una tragedia letta attraverso la memoria della sua generazione, senza infingimenti e false retoriche, dimostrando infine con uno stile secco, fluido, come anche per la sua generazione e per un intero periodo storico, quel corpo abbia messo a nudo "relazioni e contraddizioni" (p. 87), fino a diventare, in fondo, il simbolo di una catarsi epocale.

Carmela Lucia